Reflections on the case law of the ECtHR on the issue of the end of life

 

di Federico Girelli, Esq., Ph.D. [*]

Professore associato di Diritto costituzionale nell’Università degli Studi Niccolò Cusano di Roma – Avvocato Cassazionista

 

Accettato: 27 giugno 2023 – Pubblicato: 05 luglio 2023. 

 

Il presente contributo prima di essere pubblicato è stato sottoposto a procedura di referaggio (peer review) in base al regolamento editoriale della Rivista.

 

SOMMARIO

 

Abstract

  1. Persone vulnerabili e fine vita.
  2. Il leading case: la Signora Pretty e il diritto alla vita ex art. 2 CEDU.
  3. L’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU: decidere di non decidere.

Note legali

 

Per favore citate questo articolo nel seguente modo:

Girelli, F. “Considerazioni sulla giurisprudenza della Corte EDU in materia di fine vita”. Medicina e Scienze Umane, 2023, no. 1. https://www.medicinaescienzeumane.com/

 

oppure

 

Please cite this article as:

Girelli, F. Reflections on the case law of the ECtHR on the issue of the end of life. Medicina e Scienze Umane, 2023 (1). https://www.medicinaescienzeumane.com/

 

 

Abstract

The case law of the European Court of Human Rights on the end of life is part of the framework of the protection of vulnerable people. Affirming that the right to life pursuant to Art. 2 ECHR does not allow the configuration of a proper right to die, the Court then balanced the right to life and self-determination based on Art. 8 ECHR. Noting that, among the States adhering to the Convention, there is no consensus on the existence of a right to a dignified death, the Court does not take a clear-cut position on the matter.

 

Keywords

End of life; ECtHR; vulnerable people; right to self-determination; right to life; right to a dignified death

 

 

 1. Persone vulnerabili e fine vita.

 

Il tema del fine vita impone di interrogarsi sulla configurabilità di un diritto ad una morte dignitosa.

Tale approccio spinge preliminarmente, in realtà, a provare a spostare la prospettiva dalla morte alla vita, anche perché quel che interessa principalmente è quanto accade «Prima della morte»[1].

Noi tutti viviamo, siamo immersi nell’«età della tecnica»[2], un periodo storico dove, in forza del continuo ampliarsi delle conoscenze, l’ambizione umana pare non avere confini: arriva a lambire l’immortalità, a far pensare sul serio di poter «trasformare Homo sapiens in Homo Deus»[3]. Eppure, proprio a causa dell’«evoluzione tecnica»[4], per una sorta di legge del contrappasso, in tale contesto la nostra attenzione ha modo di concentrarsi sulle persone più fragili o più vulnerabili, per usare la terminologia impiegata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo[5]. Queste persone sono più vulnerabili di altre perché si trovano nella fase terminale della loro vita, connotata da particolare debolezza, oppure si trovano a vivere in condizioni di particolare sofferenza o di oggettiva minorazione delle proprie facoltà fisiche o psichiche. Si tratta di soggetti che «restano quasi impigliati» tra la vita e la morte, «non riuscendo più né a vivere, né a morire»[6].

Scientemente si è inteso qualificare costoro come “più” vulnerabili, in quanto la condizione di vulnerabilità è propria dell’intero genere umano sin dall’inizio dei tempi, «è un elemento costitutivo della condizione antropica». Della vulnerabilità, quindi, giova precisarlo, non si può che avere «una concezione relativa», poiché dipende dai soggetti messi a raffronto e non necessariamente costituisce una condizione permanente[7].

Il punto è che la «nozione di vulnerabilità si presta a svariate letture, tutte incentrate sulla persona umana, colta nelle diverse fasi della vita e nelle relazioni con gli altri»[8]. La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato una «connotazione volutamente aperta del concetto di vulnerabilità», cui possono essere ricondotte anche le persone con disabilità[9], che, anzi, ne rappresentano una figura emblematica, come ha chiarito lo stesso presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo[10].

In fondo, i soggetti per i quali in particolare si è posto il problema della configurabilità o meno di un diritto ad una morte dignitosa sono in molti casi persone in condizione di disabilità grave[11].

Naturalmente, la vita delle persone più vulnerabili o, se si vuole, più deboli, meno forti delle altre[12], è connotata nel profondo dalla dignità, così come per qualsiasi altro essere umano. Il punto è che non si vede ragione per cui la dignità, appunto, non debba qualificare anche la parte finale della vita, atteso che dovrebbe essere propria di ogni momento della vita umana, di ogni istante della vita umana, anche l’ultimo.

E allora il problema che abbiamo di fronte è l’esigenza, il bisogno di vivere con dignità l’intera esistenza, anche perché non è della morte che bisogna aver paura, in quanto, com’è noto da secoli, «per tutto il tempo in cui noi siamo, la morte non è presente; e invece, per tutto il tempo in cui, la morte è presente, noi non siamo»[13].

Va tenuto presente che la vulnerabilità di queste persone non consiste solamente nella oggettiva condizione di debolezza del loro corpo (con ciò ricomprendendo anche le ipotesi di assenza del dominio della mente), ma anche nella esposizione ad eventuali abusi da parte di terzi circa le scelte di fine vita da eventualmente effettuare. Per questo la Corte EDU verifica l’esistenza nel quadro normativo nazionale di garanzie sostanziali e procedurali affinché la scelta sia effettivamente libera e fatta con cognizione di causa; controlla cioè che sussista quella «cintura protettiva» da decisioni in danno della persona vulnerabile, di cui parla la (nostra) Corte costituzionale[14]. Del resto, «il diritto non può nulla contro il dato naturale […] Ma può molto contro il rischio sociale che ne prende occasione. Tutelare le vulnerabilità significa spezzare il meccanismo sociale che conculca le persone in quanto donne, malati, omosessuali, allogeni, e via dicendo»[15].

 

 

2. Il leading case: la Signora Pretty e il diritto alla vita ex art. 2 CEDU.

 

Fermo che ormai «di frequente il diritto si occupa delle persone considerate nella loro dimensione fisica, come entità biologiche, dotate di un corpo»[16], si è fatto sopra riferimento al corpo di queste persone soprattutto per portare l’attenzione sulla dimensione umana, concreta delle esperienze che da giuristi tentiamo di indagare, secondo un approccio che è stato definito «“dal basso”»[17]. Allora per comprendere davvero ciò di cui ci occupiamo pare utile rimarcare che delle persone “in carne e ossa” sono le protagoniste di queste vicende oggetto delle sentenze della Corte EDU, ove, francamente, si ha l’impressione che il fatto conti enormemente nell’economia generale del giudizio. E il fatto, in questi casi, non è altro che il loro vissuto personale con il connesso calvario giudiziario, analiticamente illustrati nelle sentenze.

Giova dunque illustrare almeno il leading case “Pretty c. Regno Unito”, che ha segnato l’avvio delle decisioni nel merito della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materiai di fine vita e che viene costantemente richiamato.

Già in questo primo caso emerge una tale cura nel descrivere nei particolari la condizione della persona ed anche il contesto familiare, che sembra quasi di trovarsi di fronte a una cartella clinica più che al testo di una sentenza di una corte internazionale. Lo si riporta qui di seguito letteralmente perché emblematico di questa “scelta stilistica” propria anche delle altre sentenze in materia.

«La ricorrente è una signora di quarantatré anni. Sposata da venticinque anni, vive con suo marito, la loro figlia e la loro nipotina. Soffre di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i neuroni che controllano il movimento dentro il sistema nervoso centrale e provoca una graduale alterazione delle cellule che comandano i muscoli volontari del corpo. La evoluzione della malattia porta a un grave indebolimento delle braccia e delle gambe così come dei muscoli che controllano la respirazione. La morte sopravviene generalmente a seguito di problemi di insufficienza respiratoria e di polmonite dovute al decadimento dei muscoli respiratori e di quelli che controllano la parola e la deglutizione. Nessun trattamento può rallentare la progressione della malattia»[18].

La Signora Pretty intendeva farsi assistere nel suicidio dal marito e aveva chiesto alle autorità britanniche che lui non fosse perseguito a norma della legge vigente. Davanti alla Corte EDU aveva richiesto il riconoscimento del diritto di scegliere su come interrompere la propria vita, a suo dire fondato sull’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Se, dunque, è questa la vicenda personale, su cui la Corte EDU è stata chiamata a pronunciarsi, occorre ora verificare quali valutazioni abbia effettuato in merito alla luce dei parametri convenzionali.

In “Pretty c. Regno Unito” è nitida la definizione della portata dell’art. 2 rubricato «Diritto alla vita». Fra le disposizioni che la stessa Corte reputa fondamentali questa ha preminenza. Protegge appunto il diritto alla vita, senza il quale il godimento di qualunque altro diritto garantito dalla Convenzione sarebbe semplicemente illusorio. Individua le sole circostanze, da interpretarsi in senso restrittivo, in cui è consentito causare la morte da parte di funzionari statali. Resta fermo che l’art. 2 della Convenzione vincola lo Stato non solo ad astenersi dal procurare la morte in modo intenzionale e illegale, ma anche ad adottare tutte le misure necessarie per proteggere la vita di coloro che sono soggetti alla sua giurisdizione. E non si tratta solamente di garantire il diritto alla vita tramite la predisposizione di una legislazione penale, bensì di assolvere alla obbligazione positiva di realizzare misure di ordine pratico in vista della protezione dell’individuo la cui vita sia minacciata da condotte criminali altrui. Lo Stato ha dunque l’obbligo di proteggere la vita e l’art. 2 non presenta un risvolto negativo: non implica un diritto a scegliere la morte anziché la vita, un diritto a morire per mano di terzi o con l’assistenza di una pubblica autorità. Il divieto di aiuto al suicidio non è dunque sproporzionato[19].

 

 

 3. L’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU: decidere di non decidere.

 

La giurisprudenza della Corte EDU è costante nell’affermare che dall’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non sia desumibile un diritto a morire.

Nel leading case “Pretty c. Regno Unito”, invero, sono stati presi in considerazione diversi parametri convenzionali: art. 2 (Diritto alla vita), art. 3 (Proibizione della tortura), art. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare), art. 9 (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione) e art. 14 (Divieto di discriminazione). Nondimeno, la vera partita nell’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU è stata giocata tramite un’opera di bilanciamento tra l’art. 2 e l’art. 8 della Convenzione.

La salvaguardia della autenticità dell’autodeterminazione individuale, che in ultima analisi è riscontrabile in un ordinamento che assicuri uno spazio per le scelte di fine vita sufficientemente regolamentato, nel corso del tempo ha consentito in qualche modo di temperare l’assolutezza della protezione della vita sancita nell’art. 2 della Convenzione, interpretata nel senso per cui uno Stato mai può consentire che venga causata la morte di coloro che sono assoggettati alla sua giurisdizione.

Laddove, dunque, le scelte personali trovano un’adeguata, proporzionata disciplina, nel bilanciamento viene “preferito” l’art. 8 della Convenzione, ma se l’ordinamento non mostra “aperture” in questo senso, non offre cioè garanzie sostanziali e procedurali, si dipana la forza prescrittiva dell’art. 2 della Convenzione a presidio del valore supremo della vita[20]. Va altresì precisato che la valutazione della condizione di estrema sofferenza dell’interessato e di irreversibilità della stessa ha assunto progressivamente maggior rilievo, sempre che il quadro normativo contemplasse procedure idonee a garantire la «cintura protettiva», cui s’è fatto riferimento all’inizio[21].

L’impressione, in ogni modo, è che la Corte EDU non intenda imporre una soluzione sulla possibilità di decidere sulla propria vita; trattandosi, in fondo, della morte delle persone, sembra avere un atteggiamento rispettoso delle scelte di fondo dei singoli popoli così come positivizzate nella legislazione nazionale.

Il canone finale di giudizio, in realtà, risulta essere la discrezionalità riconosciuta ad ogni Stato, la marge d’appréciation[22].

È difficile stabilire se i giudici di Strasburgo, chiamati a decidere sulla vita e sulla morte, si siano trovati coinvolti nel livello più profondo della loro umanità (in “Charles Gard ed altri c. Regno Unito” si è tratto di decidere sul destino di un bambino piccolissimo, poco più che un neonato, e in “Afiri e Biddarri c. Francia” su quello di una ragazza giovanissima, poco più che una bambina)[23] e quindi non se la siano sentiti di indicare, di imporre ad altri esseri umani una scelta univoca, oppure se per realpolitik, in buona sostanza per trattenere all’interno del sistema convenzionale il maggior numero degli Stati, abbiano più semplicemente assunto un atteggiamento alla Ecce Homo, lasciando così la scelta ad ogni singolo Stato. L’iconografia ispirata al vangelo di Giovanni[24] è a tutti nota: l’ostensione al popolo del corpo martoriato di Gesù da parte di Pilato. Sembra quasi che l’approdo finale della giurisprudenza della Corte EDU si sostanzi in un’affermazione rivolta agli Stati di questo tenore: “questo è il corpo (sofferente) della Signora Pretty, questo è il corpo di Charlie Gard, questo è il corpo di Vincent Lambert…: fate voi”.

La Corte si è ritagliata così una sorta di sindacato esterno, con cui, nondimeno, controlla il corretto uso del margine di apprezzamento, che per sua stessa affermazione non è illimitato, proprio perché è in gioco il valore supremo della vita: occorre, quindi, verificare volta a volta, anche in maniera analitica, se siano state adempiute le obbligazioni derivanti dall’art. 2 della Convenzione. Sia chiaro: si tratta indubbiamente in ultima analisi di un atteggiamento di self restraint, la Corte EDU è ben «lontana dal prendere una posizione netta»[25], eppure con la sua prudenza responsabilizza in qualche modo gli Stati, anche facendo ricorso al principio di sussidiarietà. Nemmeno può sottacersi il fatto che le articolate e complesse implicazioni del fine vita esigono di rispondere a interrogativi «sotto il cui peso la Corte avrebbe potuto rimanere schiacciata se li avesse affrontati in un contesto disomogeneo (da un punto di vista delle soluzioni e delle convinzioni etiche) come quello europeo»[26].

In tale quadro anche il ricorso alla dissenting opinion (in “Mortier c. Belgio” la seconda dissenting è denominata «en partie dissidente» ma nella sostanza è totalmente contraria alla decisione collegiale; nell’opinione dissenziente di “Lambert e altri c. Francia”, anch’essa denominata «en partie dissidente», si dice che con la decisione collegiale la Corte ha perso il diritto di portare il titolo di “Coscienza dell’Europa”)[27] può risultare funzionale al “non voler dire l’ultima parola”: questo strumento, com’è noto, consente di far emergere considerazioni che non si sono volute accogliere nella decisione collegiale, ma che possono ben costituire la base di nuovi, diversi orientamenti[28].

Quel che emerge nitidamente è una particolare attenzione al fatto, anche quando si è trattato di decidere questioni di rito; e non ci si riferisce solamente alle vicende processuali interne, ma anche (e in specie) alle condizioni personali, alla esperienza umana, al contesto familiare degli interessati. Leggendo queste sentenze si ha quasi l’impressione di trovarsi difronte a provvedimenti di un giudice penale del merito anziché di una corte internazionale di ambito regionale, di una corte “suprema”, insomma, se così si può dire.

Un qualche rilievo hanno anche gli aspetti processuali, soprattutto in tema di legittimazione ad agire. La elaborazione del concetto di «vittima indiretta»[29] consente di estendere la platea dei potenziali ricorrenti e quindi amplia le possibilità di accesso alla Corte con evidenti ricadute su garanzia e strutturazione pretoria dei diritti.

Certo, di fronte al quesito espresso in termini di quale sia stato il contributo della Corte EDU alla elaborazione di un diritto a una morte dignitosa, si ha l’impressione, in ogni modo, che la Corte abbia cercato di sottrarsi (almeno per ora) a questo cimento: più volte afferma, prendendone atto, che tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa sul diritto di un individuo di decidere in che modo e in quale momento debba concludersi la propria vita non c’è consenso[30].

Lontani da ogni «furore ideologico»[31], resta ferma la necessità di tutelare le persone vulnerabili o, meglio, più vulnerabili; e la via non può che essere la salvaguardia della dignità umana (in senso soggettivo o oggettivo la si voglia comunque intendere)[32], perché «le vulnerabilità impediscono alle persone di rialzare la testa, ma la dignità dell’uomo impedisce di chinarla»[33].

 

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[*] Associate Professor of Constitutional Law at the Niccolò Cusano University of Rome; Doctor of research (Ph.D.); Attorney at Law (Esq.).

[1] Per usare l’espressione di P. Cendon con la collaborazione di R. Bailo, F. Bilotta, P. Cecchi, Prima della morte. I diritti civili dei malati terminali, in Pol. dir., nn. 3 e 4/2002, 361 ss. e 599 ss.

[2] Vedi N. Irti, Il diritto nell’età della tecnica, Napoli, 2007 e, nella peculiare prospettiva del diritto costituzionale con specifico riferimento all’eutanasia, C. Tripodina, Il diritto nell’età della tecnica. Il caso dell’eutanasia, Napoli, 2004.

[3] Vedi Y. N. Harari, Homo Deus. Breve storia del futuro [2015], traduzione dall’inglese di M. Piani, Firenze-Milano, 2019, 31.

[4] Sul punto A. Simoncini, O. C. Snead, Persone incapaci e decisioni di fine vita (con uno sguardo oltreoceano), in Quaderni costituzionali, n. 1/2010, 7-8.

[5] La cui giurisprudenza sul fine vita è stata analizzata, appunto, nella prospettiva della «tutela delle persone vulnerabili»: vedi U. Adamo, Il diritto convenzionale in relazione al fine vita (eutanasia, suicidio medicalmente assistito e interruzione di trattamenti sanitari prodotti di una ostinazione irragionevole). Un’analisi giurisprudenziale sulla tutela delle persone vulnerabili, in Rivista AIC, n. 2/2016, 1 ss.

[6] Cfr. C. Tripodina, Diritti alla fine della vita e costituzione, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, Special Issue, n. 2/2019, 406. In effetti «nel genus invero ampio di “fine vita” rientrano una molteplicità di fattispecie fra loro diversissime accomunate solo dal verificarsi alla “fine della vita”. Ciò conferisce al concetto di “fine vita” una polisemicità che non ne consente una univoca declinazione», così M.E. Bucalo, Il caso Mortier c. Belgique: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo verso l’elaborazione del diritto all’eutanasia? Differenze e similitudini fra Roma e Strasburgo, in Gruppo di Pisa. Dibattito aperto sul Diritto e la Giustizia Costituzionale, n. 1/2023, 19; nello stesso senso: U. Adamo, Il vuoto colmato. Le disposizioni anticipate di trattamento trovano una disciplina permissiva nella legge statale, in Rivista AIC, n. 3/2018, 112.

[7] Vedi M. Luciani, Le persone vulnerabili e la Costituzionehttps://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/roma_2022-persone_vulnerabili_-_massimo_luciani_20220503170920.pdf  (22 aprile 2022).

[8] Così S. Sciarra, Intervento svolto in occasione della lectio magistralis del Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo tenuta a Roma all’Università “La Sapienza” il 22 aprile 2022: https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/sciarra_discussant_spano_finale_20220503170804.pdf .

[9] Vedi P. Scarlatti, Tutela dei diritti e trattamento dei detenuti vulnerabili. A proposito del recente caso Sy contro Italia, in Dirittifondamenatli.it, n. 1/2022, 547-548.

[10] Vedi R. Spano, Diritti umani e persone vulnerabiliLectio magistralis tenuta a Roma all’Università “La Sapienza” il 22 aprile 2022:

https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/itervento_spano_20220503170732.pdf .

[11] Vedi, in proposito, G. Arconzo, Il diritto a una morte dignitosa tra legislatore e corte costituzionale, in Gruppo di Pisa. Dibattito aperto sul Diritto e la Giustizia Costituzionale, n. 1/2023, 62 ss. Si pensi ad esempio a Vincent Lambert (la cui vicenda è stata vagliata da C. eur. dir. uomo, Grande Chambre, 5 giugno 2015, Affaire Lambert et autres c. France, ric. n. 46043/14), il quale, s’è puntualizzato, «è un disabile grave ma non è un paziente terminale», così G. Razzano, Accanimento terapeutico o eutanasia per abbandono del paziente? Il caso Lambert e la Corte di Strasburgo, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 3/2015, 182.

[12] Sul concetto di soggetto «debole» quale categoria giuridica vedi: M. Ainis, I soggetti deboli nella giurisprudenza costituzionale, in Pol. dir., n. 1/1999, 25 ss.; L. Azzena, Divieto di discriminazione e posizione dei soggetti «deboli». Spunti per una teoria della «debolezza», in Divieto di discriminazione e giurisprudenza costituzionale, Atti del Seminario di Perugia del 18 marzo 2005, a cura di C. Calvieri, Torino, 2006, 35 ss. Per la peculiare prospettiva della vulnerabilità vedi P. Scarlatti, I diritti delle persone vulnerabili, Napoli, 2022; Id., Soggetti deboli, Costituzione ed istanze della vulnerabilità, in Gruppo di Pisa. Dibattito aperto sul Diritto e la Giustizia Costituzionale, n. 1/2023, 266 ss.

[13] Epicuro, Lettera a Meneceo [IV-III sec. a.c.], in Epicurea. Testi di Epicuro e testimonianze epicuree nella raccolta di Hermann Usener, Testo greco e latino a fronte, Traduzione e note di Ilaria Ramelli, Presentazione di Giovanni Reale, III edizione, Milano, 2007, 175: «ὅταν μὲν ἡμεῖς, ὦμεν, ὁ θάνατος οὐ πάρεστιν· ὅταν δ’ ὁ θάνατος παρῇ, τόθ’ ἡμεῖς οὐκ ἐσμέν» (174). Sulla vita ed il pensiero del filosofo di Samo vedi G. Melli, La filosofia greca da Epicuro ai neoplatonici, Firenze, 1922, 9 ss.

[14] Vedi C. cost. ord. n. 207/2018, n. 4 del Considerato in diritto, decisione cui è seguita, com’è noto, C. cost. n. 242/2019: vedi, a riguardo, La Corte costituzionale e il fine vita. Un confronto interdisciplinare sul caso Cappato-Antoniani, a cura di G. D’Alessandro, O. Di Giovine, Torino, 2020. Con queste due decisioni, com’è noto, la Corte costituzionale ha inaugurato una modalità del tutto inedita per modulare nel tempo gli effetti delle proprie sentenze; questa vicenda appare emblematica di quanto già veniva osservato anni or sono: «il problema non è quello della decorrenza della sentenza, bensì quello, più sostanziale, della incapacità del legislatore di dettare una nuova disciplina, costituzionalmente legittima e politicamente accettabile, della materia», così B. Caravita, Tra crisi e riforme. Riflessioni sul sistema costituzionale, Torino, 1993, 245.

[15] Così A. Gentili, La vulnerabilità sociale. Un modello teorico per il trattamento legale, in Riv. crit. dir. priv., n. 1/2019, 44.

[16] Così A. Santosuosso, Persone fisiche e confini biologici: chi determina chi, in Pol. dir., n. 3/2002, 525. Del resto, proprio al «corpo» è dedicato un recente studio interdisciplinare, cui hanno concorso diversi giuristi: C. Moroni, A. Sterpa, Corpo e società. Trasformazioni del convivere, Napoli, 2021.

[17] Vedi P. Veronesi, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, Milano, 2007, 7 ss.

[18] Vedi C. eur. dir. uomo, sez. IV, 29 aprile 2002, Affaire Pretty c. Royaume-Uni, ric. n. 2346/02, § 7.

[19] Cfr. C. eur. dir. uomo, sez. IV, 29 aprile 2002, Affaire Pretty c. Royaume-Uni, ric. n. 2346/02, En droit. Ad avviso di P. Valenti, Il diritto ad autodeterminarsi: il “fine vita” nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Dirittifondamentali.it, n. 1/2022, 18-19 in quest’occasione la Corte si sarebbe attenuta ad «una rigida interpretazione letterale del dettato convenzionale».

[20] Del resto, «The right to life is the very first material provision of the ECHR», così A. C. Hendriks, End-of-life decisions. Recent jurisprudence of the European Court of Human Rights [19 September 2018], in ERA Forum, Vol. 19, issue 4, April 2019, 563.

[21] Vedi supra § 1.

[22] Su cui vedi: F. Donati, P. Milazzo, La dottrina del margine di apprezzamento nella giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo, in La corte costituzionale e le corti d’Europa, Atti del seminario svoltosi a Copanello (CZ) il 31 maggio-1 giugno 2002, a cura di P. Falzea, A. Spadaro, L. Ventura, Torino, 2003, 65 ss.; L. Olivieri, La dottrina del margine di apprezzamento tra sindacato giurisdizionale e giustizia politicaibidem, 413 ss.

[23] Vedi: C. eur. dir. uomo, sez. I, 27 giugno 2017, Charles Gard and others v. the United Kingdom, ric. n. 39793/17; C. eur. dir. uomo, sez. V, 23 gennaio 2018, Affaire Afiri et Biddarri c. France, ric. n. 1828/18. Sul problema della scelta della soluzione terapeutica per i minori, ed in particolare per i neonati, vedi A. Bucelli, I dilemmi di fine vita in età neonatale, in Identità e salute del minore. Problematiche attuali, a cura di A. Bucelli, Pisa, 2021, 35 ss.

[24] Giovanni 19, 1-5.

[25] Così M. Barletta, Diritto all’autodeterminazione del paziente nelle decisioni fine vita in Europa: riflessioni a margine della sentenza Mortier c. Belgio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in federalismi.it, n. 2/2023, Focus Human Rights, 25 gennaio 2023, 184.

[26] Vedi V. Zambrano, La questione del “fine vita” e il ruolo del giudice europeo: riflessioni a margine del caso Lambert c. Francia, in federalismi.it–Focus Human Rights, n. 1/2016, 22 gennaio 2016, 14-15.

[27] Vedi: C. eur. dir. uomo, sez. III, 4 ottobre 2022, Affaire Mortier c. Belgique, ric. n. 78017/17 (opinione «en partie dissidente» del giudice Serghides); C. eur. dir. uomo, Grande Chambre, 5 giugno 2015, Affaire Lambert et autres c. France, ric. n. 46043/14 (opinione «en partie dissidente» comune ai giudici Hajiyev, Šikuta, Tsotsoria, De Gaetano e Griţco).

[28] Sulla funzione delle opinioni separate delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo vedi P. Pinto de Albuquerque, D. Cardamone, Efficacia della dissenting opinion, in Gli Speciali di Questione GiustiziaLa Corte di Strasburgo, a cura di F. Buffa, M.G. Civinini, aprile 2019, 148 ss. Per l’esperienza della Corte costituzionale vedi B. Caravita, Ai margini della dissenting opinion. Lo “strano caso” della sostituzione del relatore nel giudizio costituzionale, Torino, 2021.

[29] Per questo profilo vedi in particolare C. eur. dir. uomo, sez. III, 4 ottobre 2022, Affaire Mortier c. Belgique, ric. n. 78017/17.

[30] Vedi, ad esempio, C. eur. dir. uomo, sez. I, 20 gennaio 2011, Affaire Haas c. Suisse, ric. n. 31322/07.

[31] Che purtroppo in passato ha connotato il dibattito sul «diritto a rifiutare le cure», come avverte M. Siclari, L’articolo 32, primo comma, della Costituzione italiana nell’interpretazione della Corte costituzionale, in Lex Social, n. 2/2012, 85.

[32] Vedi C. cost. n. 242/2019 (aiuto al suicidio) e C. cost. n. 141/2019 (prostituzione): in entrambe le decisioni il valore della dignità umana, inteso in senso soggettivo nella prima e in senso oggettivo nella seconda, è richiamato quale presidio di tutela delle persone più vulnerabili. Che in fondo nel nostro sistema costituzionale convivano una dimensione soggettiva ed una oggettiva della dignità è stato da ultimo ribadito anche dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione: Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 2022, n. 38162 (maternità surrogata). Sulla dignità umana con riferimento specifico alle problematiche del finis vitae vedi G. Razzano, Dignità nel morire, eutanasia e cure palliative nella prospettiva costituzionale, Torino, 2014, 3 ss. e sul difficile ruolo del giudice quale «garante della dignità umana» in tale ambito vedi R. G. Conti, Scelte di vita o di morte: il giudice è garante della dignità umana? Relazione di cura, DAT e “congedo dalla vita” dopo la L. 219/2017, Prefazione di A. Ruggeri, Postfazione di M. G. Luccioli, Roma, 2019.

[33] Così A. Gentili, La vulnerabilità sociale. Un modello teorico per il trattamento legale, cit., 64.

 

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Note legali 

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L’autore ha letto e accettato la presente versione pubblicata del suo manoscritto che dichiara conforme all’originale da lui consegnato al Comitato di redazione di questa Rivista.

 

Dichiarazione sul conflitto di interessi

L’autore dichiara che la presente ricerca, la raccolta, l’elaborazione e lo studio dei dati correlati alla redazione di questo articolo sono stati condotti in assenza di relazioni commerciali o finanziarie che potrebbero essere interpretate come un potenziale conflitto di interessi.

 

Finanziamento

Questo articolo di ricerca non ha ricevuto finanziamenti esterni.

 

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Nota Bene: il presente articolo è il frutto di una ricerca e di una redazione originale e inedita del contenuto da parte di ciascun autore mediante un accurato procedimento di raccolta, di analisi e di distribuzione dei dati e delle informazioni pertinenti delle fonti riportate nelle note, nella bibliografia e nella sitografia reperiti su varie pubblicazioni, su siti internet e in studi pubblicati su svariate riviste scientifiche e specialistiche settoriali nonché su volumi editi in italiano e/o in inglese e in altre lingue straniere. Sebbene molte delle predette fonti bibliografiche utilizzino delle procedure di revisione tra pari, tuttavia gli autori che hanno redatto gli articoli pubblicati sul sito della Rivista di Medicina e Scienze Umane non hanno modo di accertare né di garantire l’effettiva veridicità dei dati e delle informazioni riportate da tali fonti bibliografiche.

Giova ribadire che gli indirizzi dottrinari e giurisprudenziali nonché le informazioni scientifiche sono soggetti a continue variazioni causate da modifiche alle normative di riferimento oppure da nuove scoperte scientifiche incrementate dalle incessanti ricerche e sperimentazioni cliniche, ma anche dalle normali divergenze di opinioni fra i differenti orientamenti della dottrina giuridica, della letteratura scientifica e persino tra le autorità preposte, nonché dagli aspetti unici dovuti alla variabilità individuale e alla possibilità di errori umani. Pertanto, tutti questi molteplici fattori ed elementi differenti si ripercuotono inevitabilmente quando vengono redatti articoli di ricerca così estesi, cosicché è possibile che altre fonti della letteratura medica, giuridica e scientifica possano prospettare ipotesi contrastanti o divergenti dalle informazioni riportate sul sito di questa Rivista.

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