Bio-juridical and medical forensic aspects of assisted reproductive technologies (ART)
di Tommaso Spasari, M.D., Esq., Ph.D. [*]
Accettato: 30 novembre 2022 – Pubblicato: 18 dicembre 2022.
Il presente contributo prima di essere pubblicato è stato sottoposto a procedura di referaggio (peer review) in base al regolamento editoriale della Rivista.
SOMMARIO:
I principali referenti normativi applicabili alla fattispecie:
- Introduzione.
- Le implicazioni costituzionali.
- La normativa sulla procreazione medicalmente assistita osservata dalla prospettiva della Corte Costituzionale.
- Profili medici e psichici dei fattori di rischio collegati al declino della fertilità femminile e alla gravidanza in età avanzata.
- Considerazioni conclusive.
Per favore citate questo articolo nel seguente modo:
Spasari, T. “Aspetti biogiuridici e medico-legali della procreazione medicalmente assistita”. Medicina e Scienze Umane, 2022, no. 1. https://www.medicinaescienzeumane.com/
oppure
Please cite this article as:
Spasari, T. Bio-juridical and medical forensic aspects of assisted reproductive technologies (ART). Medicina e Scienze Umane, 2022 (1). https://www.medicinaescienzeumane.com/
I principali referenti normativi applicabili alla fattispecie:
The applicable State law:
Artt. 2, 3, 29, 31 e 32 Cost.
- 19/02/2004, n. 40
- 22/05/1978, n. 194
Abstract.
The role of Biolaw modifies the previous juridical conception of man, who finally has the possibility of self-determining his own biological destiny, deciding about his own health, planning his own descendants by becoming a conscious parent, as well as deciding on health treatments in anticipation of the end of his life.
The biomedical sciences and technological progress constitute a great opportunity, creating a new space of freedom which, however, raises many new questions relating to the values and reference criteria to be applied.
After Law 40/2004 came into force in Italy, the scientific literature underlined the obvious legislative inconsistencies also because it prohibited pre-implantation diagnosis, i.e. it prevented doctors from carrying out any genetic screening, which was prohibited even in the hypothesis in which parents were carriers of genetic diseases. Therefore, this law was in conflict with the law n. 194/1978, which provided for therapeutic abortion.
The recent sentences of the Constitutional Court have rightly balanced the various interests involved, protecting not only the embryo but also the health of the woman and the individual rights of the parents.
Keywords:
Assisted reproductive technology; In vitro fertilization; Infertility; Bio-Law.
Parole chiave:
Procreazione medicalmente assistita; Fecondazione in vitro; Infertilità; BioDiritto.
1. Introduzione.
L’articolo si incentra sulla crescente importanza acquisita dal BioDiritto che, sta progressivamente svolgendo un nuovo e speciale ruolo nell’ambito della produzione giuridica rimodellando il complesso equilibrio tra i principî di libertà e di responsabilità. È compito della funzione regolatrice e ordinante propria del BioDiritto delineare il quadro normativo per disciplinare il costante progresso delle scienze biomediche in una nuova prospettiva che, pur salvaguardando lo sviluppo scientifico, consenta altresì di bilanciarlo garantendo la tutela dei tre principî fondamentali di precauzione, dell’autodeterminazione e del consenso informato. Dinanzi a questioni fondamentali come la tutela della salute da un lato e i fenomeni della nascita e della morte dall’altra, il diritto non deve essere relegato a un mero recettore del fatto nella norma, in quanto non potranno essere le biotecnologie sic et simpliciter a individuare le tematiche e a prevedere le soluzioni.
In questa ottica ricostruttiva, il ruolo del BioDiritto rimette in discussione la preesistente concezione giuridica dell’uomo che va ben oltre le leggi della causalità naturalistica e biologica, divenendo un’entità in grado di gestire razionalmente sé stessa e autodeterminare il proprio destino anche in senso biologico, decidendo della propria salute, pianificando la propria discendenza attraverso una genitorialità consapevole, nonché prevedendo disposizioni inerenti alla fine della propria esistenza. In questi anni, l’apporto del BioDiritto si è dimostrato fondamentale nella ridefinizione delle categorie giuridiche ordinanti il sistema, sottolineando l’importanza della tecnica del bilanciamento fra valori di rango costituzionale e altre norme gerarchicamente ordinate, quale modello preferenziale per la composizione dei conflitti alla luce di una logica che privilegia una “sintesi nell’equilibrio”.
Alla luce di quanto sopra prospettato, il BioDiritto diviene la chiave di lettura per interpretare in termini nuovi ed evolutivi il ruolo del diritto tradizionale, estendendone l’ambito di operatività alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia in campo biomedico. La caratteristica peculiare del BioDiritto è quella di porsi al centro di un crocevia in cui confluiscono materie e competenze professionali diverse, ma che hanno in comune un confine evanescente tra ambiti contermini come quelli che intercorrono tra medicina, bioetica e norma giuridica sintetizzandole in una prospettiva transdisciplinare che possa dare delle certezze non solo in riferimento alla tutela del diritto alla salute, ma anche e segnatamente al momento dell’inizio e della fine della vita. In altri termini, il BioDiritto involge anche tutti gli aspetti della dignità della persona umana, che rappresenta la sintesi dei due principî costituzionali della libertà e dell’uguaglianza. Difatti, il prof. Antonio D’Aloia ha osservato che:
«Le risposte che possono essere ricavate dalla ricomposizione e dalla ricombinazione dei materiali argomentativi ricostruibili a partire dalle grandi e indeterminate categorie assiologiche come vita, salute, dignità, autonomia, sono davvero molteplici, e non collocabili in modo netto su una ipotetica lavagna delle cose giuste e sbagliate»[1].
Per questi motivi, il BioDiritto costituisce un punto di contatto tra le discipline giuridiche e le scienze mediche[2] superando i limiti intrinseci delle singole categorie concettuali, che vengono riunite in una prospettiva unitaria realizzando de facto anche al di fuori dell’ambito processuale quella sintesi interdisciplinare intrapresa dalla Medicina legale e che si compendia nel diritto delle scienze della vita e della salute. L’endiadi Diritto e Medicina implica un innovativo approccio alla disamina del quadro problematico delle questioni da affrontare, sia nel merito che nel metodo, su ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è giuridicamente lecito compiere. Ne consegue, che solo tramite la ridefinizione in termini evolutivi delle categorie giuridiche ordinanti il sistema si potrà riuscire finalmente a cogliere, attraverso la traiettoria di evoluzione del fenomeno, l’autentica res medica sub specie juris.
In tal guisa, attraverso la chiave di lettura fornitaci dal BioDiritto, sarà possibile adeguare il paradigma normativo e ricostruttivo alle mutate esigenze delineate dall’incessante innovazione scientifica e tecnologica in ambito biomedico. Nella coeva temperie multietnica e multiculturale la regola giuridica, a mio avviso, dovrebbe essere necessariamente «neutra» e orientata a una sintesi d’interessi. Viceversa, l’etica – proprio per la sua connotazione soggettiva – non potrà mai sostituire né la scienza né tantomeno il diritto in quanto è insidiosa se disgiunta dalla successiva riflessione giuridica. Giacché, sotto la spinta di precetti morali unilaterali, c’è il rischio concreto che alcuni esponenti di parte tentino di “eticizzare” la legge utilizzandola per imporre a tutti i consociati i loro precetti e valori, spesso non condivisibili, come è stato evidenziato dalle contrapposizioni negli schieramenti politici italiani quando si è tentato di disciplinare alcuni aspetti controversi rispettivamente di “inizio” e di “fine” vita. A questo riguardo, il prof. Stefano Rodotà aveva opportunamente sottolineato che: «la mancanza di valori condivisi non può essere sostituita da “un’etica dei più”, imposta attraverso lo strumento legislativo, dunque a mezzo della più classica tra le procedure maggioritarie»[3].
Peraltro, con il superamento dello storico paradigma naturalistico di riferimento per la scienza giuridica ovvero quello della naturalità, si è posto il problema se la vacatio creata dal venir meno delle “leggi di natura” vada colmata dalle norme giuridiche oppure debba essere rimessa alle “leggi della scienza e della tecnica”. Per evitare di rifugiarsi nel “mito” di un nuovo positivismo scientifico, è opportuno osservare che le regole scientifiche sono avulse dalle modalità di legittimazione democratica, ma risultano correlate e comunque molto più sensibili di quelle giuridiche alle potenti logiche economiche e del mercato, che se venissero direttamente applicate a un ambito così delicato e soggetto a molteplici valutazioni etiche come quello delle scienze della vita e della salute, potrebbero reificare il corpo umano circoscrivendo ogni relazione sociale all’interno di schemi mercantili.
Le scienze biomediche e il progresso tecnologico costituiscono una grande opportunità, creando un nuovo spazio di libertà che, però, pone inevitabilmente una pluralità di questioni consequenziali ovverosia quali debbano essere i valori e i criteri ordinanti di riferimento per il controllo di questo nuovo potere d’azione. Vista la particolare natura dei processi da disciplinare, è opportuno evitare d’inerpicarsi su un percorso impervio e insidioso come quello che dall’etica conduce al diritto, giacché alterne vicende nel corso della Storia hanno dimostrato quanto sia pericoloso strumentalizzare le norme giuridiche generali, trasferendo al loro interno principî etico-morali a spiccato contenuto ideologico. Questo, purtroppo, è accaduto in Italia con l’impostazione originaria della legge sulla procreazione medicalmente assistita, che vietava la diagnosi pre-impianto, nonché la fecondazione eterologa e finiva per dare all’embrione una tutela giuridica notevolmente rafforzata e addirittura maggiore di quella del feto, mettendo in discussione principî generali come quello di laicità dello Stato e considerando alla stregua del relativismo etico le differenze concettuali e il pluralismo di valori.
Pertanto, il superamento delle preesistenti limitazioni naturali consentito dall’evoluzione delle moderne scienze biomediche, non deve essere vissuto con ansia e incertezza e certamente non può essere risolto con una strumentalizzazione delle norme giuridiche per ripristinare con preclusioni e divieti artificiosi l’equilibrio e le limitazioni preesistenti. Per altro verso, non è neanche possibile risolvere la vexata quaestio in un’ottica rinunciataria per non ostacolare in alcun modo il progresso scientifico e tecnologico. Viceversa, una delle peculiarità del BioDiritto è quella di ancorare la normativa di riferimento in subiecta materia al rispetto dei principî fondamentali di libertà posti a tutela del soggetto-persona, garantendo l’esercizio del potere di autodeterminarsi consapevolmente da parte dell’avente diritto, esplicando con chiarezza le finalità della normativa ed effettuando scelte che impongano limiti e divieti solo laddove siano largamente condivise. Difatti, come ha magistralmente osservato il prof. Carlo Casonato:
«il biodiritto contemporaneo si caratterizza per essere materia che rifugge le discipline assolute e fondamentaliste, quelle – per così dire – “senza se e senza ma”, e che si connota per soluzioni che dipendono di volta in volta da delicati equilibri e bilanciamenti di interessi diversi»[4].
Sulla scorta di quanto prospettato, va elaborato un nuovo e autonomo paradigma bio-giuridico basato antropologicamente e disancorato da finalità propriamente scientifiche o da precetti etici, ma incardinato su valori e principî generali largamente condivisi e in grado di orientare le condotte di quasi tutti i consociati. In altri termini, quello che deve emergere nell’ambito di una nuova assiologia giuridica è il primato della persona, proprio alla luce dei principî e dei diritti fondamentali statuiti nella Carta costituzionale e nella normativa europea.
2. L’evoluzione giurisprudenziale della Legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA).
La scienza e il diritto avanzano a due diverse velocità, sicché accade sovente che le norme quando vengono inserite in un ordinamento giuridico sono già superate dal progresso scientifico e dalle nuove esigenze a esso collegate. Infatti, la ricerca scientifica in ambito medico è intervenuta per aiutare la natura creando un ulteriore metodo di concepimento, alternativo al rapporto fisico tra gli aspiranti genitori. Al riguardo, fu il ricercatore inglese Robert Edwards a effettuare nel 1978 la prima fecondazione in vitro con la quale nacque Louise Brown. Ma in realtà, la fecondazione extracorporea necessita successivamente sempre dell’impianto dell’embrione nell’utero materno al fine di portare avanti la gravidanza, che si svolge in seguito al pari di una normale gravidanza naturale. Tuttavia, molti detrattori della PMA si sono soffermati solo sui mezzi tecnologici impiegati e non sull’esito, perdendo di vista la finalità della medicina che in questo caso è quella di risolvere una patologia come l’infertilità, consentendo a una coppia di attuare il loro diritto a una genitorialità consapevole. Il legittimo desiderio di avere una propria progenie e di tramandare i propri geni è un’esigenza fisiologica e naturale, che è comune non solo agli esseri umani ma che rientra anche nel modello comportamentale di altre specie. Perciò, è ingiusto e arbitrario imporre delle limitazioni sulla base di precetti etici e valori di parte a spiccato contenuto ideologico propugnati dagli “orfani” del paradigma naturalistico che ancora sperano, invano, di poter riportare indietro le lancette sul quadrante della Storia ripristinando ope legis lo status quo ante tramite la reviviscenza della previgente costrizione naturalistica e biologica.
Alla luce di quanto sopra prospettato, l’impostazione originaria della L. 40/2004 caratterizzata da «ombre e luci»[5] – sulla base di meri pregiudizi ideologici – limitava significativamente la scienza e l’applicazione delle biotecnologie, precludendo di fatto l’ampliamento dell’ambito applicativo della procreazione medicalmente assistita.
L’orientamento dottrinario maggioritario[6] e in seguito molte decisioni giurisprudenziali di merito hanno criticato l’impostazione normativa de qua, che riverberava l’ideologia di uno Stato confessionale strumentalizzando il diritto per precludere il progresso scientifico, in controtendenza rispetto all’opinione pubblica nella coeva temperie sociale e culturale italiana. Infatti, il nostro ordinamento giuridico è improntato sul bilanciamento dei diversi interessi costituzionali in gioco, viceversa la L. 40/2004 comprimeva illegittimamente e violava diritti tutelati dalla Carta costituzionale. Difatti, già Busnelli[7] a questo riguardo aveva affermato che «Le leggi dovrebbero essere rispettose della vocazione pluralistica della nostra società, eppure ferrea nelle garanzie dei principi su cui si fonda».
In Italia prima della promulgazione della controversa[8] L. 19 febbraio 2004, n. 40, recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, vigevano comunque già Decreti e Ordinanze Ministeriali che disciplinavano la materia imponendo delle regole inderogabili da rispettare oltre alle rigorose previsioni del Codice Deontologico medico. Peraltro, la L. 40/2004 – che avrebbe dovuto riordinare la materia – in realtà sotto il profilo sistematico e teleologico mancava di un filo conduttore unificatore, al di là dell’eccessiva tutela dell’embrione rispetto al feto, caratterizzandosi per i profili d’incostituzionalità e per le violazioni dei diritti costituzionali delle coppie. Inoltre, la legge de qua non tutelava né la salute individuale né quella della coppia, limitando sia la libertà di autodeterminarsi consapevolmente nelle scelte procreative sia l’esercizio della pratica medica, in totale dispregio del principio di tutela della libertà di ricerca scientifica.
3. Le implicazioni costituzionali.
Il legislatore italiano con la legge 19 febbraio 2004, n. 40 ha disciplinato una materia complessa inerente al processo procreativo, ma senza una condivisa «costruzione del consenso valoriale»[9] suscitando, perciò, un’accesa diatriba sui limiti della biomedicina, sui diritti costituzionalmente tutelati, sulla salute e sulla libertà individuale.
La normativa de qua ha inciso non solo sull’autodeterminazione delle coppie a una genitorialità consapevole, ma anche sulla facoltà di crearsi una famiglia e una discendenza. Inoltre, come si vedrà in prosieguo, affermando di voler tutelare e regolare la c.d. “salute procreativa”, il legislatore nazionale con la L. n. 40 del 2004 ha effettuato scelte politiche poco condivisibili che, viceversa, hanno anche inciso negativamente sul diritto alla salute e sull’integrità psicofisica della donna. Difatti uno degli errori di fondo nell’impostazione concettuale della legge de qua è stato quello di voler equiparare la posizione giuridica dell’embrione a quella di una persona già nata, come si evinceva dalla formulazione degli artt. 13 e 14 del Capo VI della stessa L. n. 40/2004 che enunciavano le “Misure di tutela dell’embrione”. Pertanto, all’embrione veniva assegnata una tutela maggiore di quella del feto collocandolo in una posizione di totale prevalenza in riferimento ai diritti e alle aspettative degli altri individui coinvolti nel progetto parentale e biogenetico. Tuttavia, una siffatta impostazione normativa si poneva in palese antinomia con l’art. 1, comma 1, della legge de qua, che al contrario enuncia il principio di parità dei diritti di “tutti i soggetti coinvolti”. Peraltro, in dottrina molti avevano sottolineato che la tutela rafforzata accordata all’embrione, che diveniva ope legis soggetto di diritto, era evidenziata a chiare lettere dal divieto di revoca del consenso da parte della coppia all’impianto dell’embrione fecondato, contemplato ex professo dall’ultimo capoverso del 3° comma dell’art. 6 della predetta legge, nonché dall’art. 14, comma 2, che sanciva l’obbligatorietà per la donna di farsi impiantare in utero tutti gli embrioni fecondati, con notevoli rischi per la salute della donna medesima, che passava in secondo piano. In questo modo, con un artificio normativo, il diritto alla salute di una persona già nata e maggiorenne come la madre passava in secondo piano rispetto a quello dell’embrione, mentre la discrezionalità tecnica di personale medico altamente qualificato sulle modalità più opportune per salvaguardare la salute delle proprie pazienti veniva fortemente limitata e compressa da obblighi e divieti particolarmente restrittivi. In altri termini, la maggioranza politica che aveva approvato la L. 40/2004 aveva imposto la sua discrezionalità politica sulla discrezionalità tecnica degli specialisti, in evidente spregio dei diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini. Va precisato, che molti medici hanno ravvisato nella normativa del qua il malcelato tentativo di limitare il ricorso alla PMA rendendone disagevole l’utilizzo per coartare le coppie a ricorrere alle adozioni.
Infatti, una delle prime conseguenze è stata quella di penalizzare i centri medici d’eccellenza italiani rispetto a quelli stranieri, incentivando il fenomeno del c.d. “turismo procreativo” (soprattutto per chi si poteva permettere di sostenerne il costo economico). A questo riguardo, la prof.ssa Paola Frati e il prof. Vittorio Fineschi, hanno difatti affermato che: «Come risultato dell’eterogeneità mondiale nelle politiche, negli approcci legali e nell’accesso alla PMA in tutto il mondo, un numero crescente di aspiranti genitori sta cercando un trattamento all’estero»[10].
Alla luce di quanto sopra prospettato, dopo l’entrata in vigore della L. 40/2004 la dottrina e la letteratura scientifica medica evidenziarono delle palesi incongruenze scaturenti da motivazioni prettamente ideologiche, che avevano orientato la discrezionalità legislativa. Innanzi tutto era stato introdotto il divieto di congelamento degli embrioni, comportando la riduzione notevole del loro numero a non più di tre e che diveniva spesso inadeguato per instaurare una gravidanza. Altresì, i medici erano obbligati a impiantare simultaneamente tutti gli embrioni fecondati. Un ulteriore profilo di criticità era ravvisabile nella formulazione originaria della legge de qua che precludeva la c.d. diagnosi preimpianto ovverosia impediva ai medici di effettuare qualunque screening genetico, che risultava vietato anche nell’ipotesi in cui i genitori fossero portatori di malattie genetiche. Tuttavia, una simile impostazione creava una vistosa antinomia con la L. n. 194 del 1978, inerente alle “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” che, viceversa, prevede l’ipotesi dell’aborto terapeutico qualora le procedure di diagnosi prenatale (l’amniocentesi e la villocentesi) indichino la presenza di patologie fetali che pongano gravemente a rischio la salute della donna.
Peraltro, la formulazione legislativa originaria vietava finanche la fecondazione eterologa, cioè quella effettuata tramite la donazione di gameti da parte di terzi. Inoltre, permangono il divieto di surrogazione della maternità, nonché la preclusione all’utilizzo per finalità di ricerca scientifica degli embrioni prodotti ma non impiantati. Nondimeno, questo divieto limita anche un altro ambito importante come quello della libertà di ricerca scientifica che non consente la coltura di staminali embrionali né l’utilizzo ai fini di ricerca degli embrioni eccedenti, che pur non essendo impiantabili divengono al contempo inservibili ma anche non distruggibili, restando in uno stato di crioconservazione per un tempo indefinito e destinati perciò all’autoconsunzione.
Nonostante tanti profili di illegittimità, che come vedremo nei prossimi paragrafi sono stati emendati dalle pronunce della Consulta, la L. n. 40 del 2004 ha tutto sommato anche qualche aspetto favorevole, infatti ha previsto il riconoscimento dello status di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia ai bambini concepiti mediante le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Inoltre, è stata regolamentata la PMA prediligendo la sicurezza sotto il profilo sanitario, in particolare prevedendo che le procedure di PMA si sarebbero dovute effettuare soltanto in strutture pubbliche o private autorizzate dalle Regioni, che dovevano essere iscritte in uno specifico registro nazionale – neocostituito con decreto del Ministro della salute – e tenuto presso l’Istituto superiore di sanità in cui venivano elencate le strutture autorizzate all’applicazione delle tecniche procreative assistite.
4. La normativa sulla procreazione medicalmente assistita osservata dalla prospettiva della Corte Costituzionale.
La legge 40/2004 destò già ab initio forti perplessità e dissensi nella comunità scientifica e suscitò molto malcontento nell’opinione pubblica proprio per le sue limitazioni particolarmente restrittive che incidevano negativamente sul favor filiationis, sbilanciando la normativa su posizioni molto rigide invece di attestarsi su posizioni di compromesso condivise dalla coscienza sociale. Pertanto, furono proposti ben cinque referendum abrogativi su singole disposizioni della legge de qua che riguardavano aspetti specifici della disciplina della PMA, perciò furono dichiarati ammissibili dalla Consulta con le sentenze nn. 46, 47, 48 e 49 del 2005. Invece, la richiesta di abrogazione totale della L. 40/2004 venne dichiarata inammissibile dal giudice costituzionale con la sentenza n. 45 del 2005 poiché la sua abrogazione avrebbe determinato il venir meno di una tutela costituzionalmente necessaria, dato che produceva «una prima legislazione organica» approntata per garantire «un livello minimo di tutela legislativa» a «una pluralità di rilevanti interessi costituzionali».
Tuttavia, la pronuncia della Corte costituzionale n. 151 del 2009 ha tracciato il primo segno di discontinuità con l’impostazione pregressa della succitata legge, valorizzando l’importanza dei diritti fondamentali della donna e specialmente la tutela del suo diritto alla salute a norma dell’art. 32 Cost., sancendo la parziale illegittimità del comma 2 dell’art. 14 limitatamente alle parole «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre». Inoltre, nella medesima sentenza è stata sancita anche la declaratoria d’incostituzionalità del comma 3 del succitato articolo nella parte in cui non prevedeva che il trasferimento degli embrioni andasse effettuato senza arrecare pregiudizio alla salute della donna. La sopra menzionata sentenza della Consulta merita di essere segnalata perché mediante la tecnica della pronuncia additiva, nonché richiamando il principio della non equiparabilità dell’embrione al neonato, già enunciato nel precedente orientamento della giurisprudenza costituzionale con la pronuncia n. 27 del 1975, ha abilmente e condivisibilmente risolto un conflitto d’interessi. Giacché, il giudice ad quem ha incardinato la PMA sul valore costituzionalmente imprescindibile della salvaguardia, innanzitutto, della vita e della salute fisica e psichica della donna, che deve essere bilanciata con la tutela dell’embrione ma anche rivolgendo una particolare attenzione ai diritti procreativi della coppia e alle aspettative della gravidanza.
Infatti, il prof. Giovanni D’Alessandro – uno tra i più autorevoli costituzionalisti italiani – soffermandosi sugli aspetti che contraddistinguono la giurisprudenza costituzionale ha precisato che:
«La Corte applica, nella sostanza, un criterio d’interpretazione sistematica che presuppone la razionalità dell’ordinamento inteso come insieme di norme, in cui sussiste una durchgehende Korrelation tra gli atti-documenti produttivi di norme che alimenta una circolarità del processo ermeneutico, in cui costituzione e leggi si compenetrano, concorrendo incessantemente a riconformarsi reciprocamente» [11].
In questo modo, è stata espunta dall’ordinamento la norma che imponeva l’obbligo simultaneo dell’impianto di tutti gli embrioni (limitati al massimo a tre) giacché si poneva ictu oculi in contrasto con gli artt. 3 e 32 della Carta costituzionale.
A questo riguardo, io già nel 2008 avevo espresso molte perplessità riguardo le suddette previsioni della L. 40, poi censurate dalla Consulta, in quanto violavano: «il canone di ragionevolezza, dato che situazioni diverse sono aprioristicamente assoggettate al medesimo trattamento sanitario, precludendo così al medico curante ogni valutazione personalizzata»[12].
Infatti, la previsione normativa generalizzata della produzione di un numero massimo di tre embrioni da impiantare contemporaneamente, senza vagliare caso per caso le condizioni di salute individuali della donna, collideva con i principî di ragionevolezza[13] e di eguaglianza sanciti dall’art. 3 Cost. A questo riguardo, il legislatore nazionale aveva introdotto nell’ordinamento una previsione legislativa che riservava il medesimo trattamento generalizzato a tutte le pazienti, anche a quelle che si trovavano in situazioni dissimili tra loro, peraltro, senza considerare l’eventuale danno arrecato alla salute della donna e potenzialmente anche al feto in palese contrasto con l’art. 32 Cost. Peraltro, questi divieti normativi ledevano anche la dignità della donna, intesa anche come crocevia dei principî costituzionali di libertà e di uguaglianza anche nel diritto alla salute e alle cure mediche. In tal senso, anche la prof.ssa Anna Pirozzoli ha sottolineato magistralmente che:
«Nelle sue pronunce la Corte costituzionale fa riferimento molto spesso alla dignità, talvolta come argomento rafforzativo del riconoscimento di diritti esistenti, altre volte come il fondamento assiologico di nuovi diritti, aumentando in questo modo la probabilità di un conflitto tra pretese giuridiche configgenti fondate entrambe sul principio della dignità»[14].
D’altro canto, la pronuncia in esame con l’eliminazione dell’ultima parte del succitato 2° comma di cui all’art. 14, implicava il parziale venir meno del divieto di crioconservazione sancito dal 1° comma, qualora nel singolo caso specifico vi fossero embrioni residuali da congelare perché non impiantati per ragioni mediche. In questo modo la Corte Costituzionale, ha rivalutato e valorizzato il ruolo di responsabilità e di autonomia professionale del medico che, in sintonia con gli emergenti principî della medicina traslazionale e di precisione, può così decidere liberamente il protocollo migliore da attuare in considerazione delle peculiarità del caso concreto adattandolo alle esigenze della donna, al fine di ridurne significativamente i rischi per la salute e incrementare le possibilità di ottenere una gravidanza.
Questa rivalutazione della professionalità medica, effettuata dalla Consulta, rientra in quella linea di pensiero che osserva con interesse le più recenti normative introdotte negli ordinamenti giuridici stranieri. Infatti, in quest’ottica ricostruttiva va collocato un illuminante brano del prof. Carlo Casonato, uno dei massimi e più autorevoli esperti di BioDiritto, che si è espresso favorevolmente sul riconoscimento di:
«un ruolo decisivo al medico, tanto da potersene trattare in termini di paradigmatica “delega di bilanciamento”, la sua natura collegiale non legittima scelte arbitrarie da parte del professionista né lo colloca in una posizione di isolamento, mettendolo piuttosto nella condizione di confrontarsi con la globalità delle istanze coinvolte e di agire in modo complessivamente bilanciato e ragionevole»[15].
In seguito, proseguendo nel medesimo indirizzo ermeneutico volto a tutelare i diritti della coppia genitoriale e a bilanciarli con quelli dell’embrione, tra l’altro già delineato nella sua precedente giurisprudenza, la Corte costituzionale con la pronuncia n. 162 del 2014 ha sancito anche l’illegittimità dell’art. 4, comma 3, della L. n. 40/2004 in quanto precludeva l’utilizzo delle tecniche di PMA di tipo eterologo anche in caso di sterilità o infertilità assolute e irreversibili, collidendo ictu oculi con i principî costituzionali enunciati negli artt. 2, 3, 29, 31 e 32. Infatti, il giudice costituzionale ha osservato che la PMA coinvolge plurime esigenze incidendo su una molteplicità di interessi di rango costituzionale, dato che l’autodeterminazione alla genitorialità perfino per una coppia assolutamente sterile o infertile, inerisce alla sfera più intima e intangibile della persona umana, pertanto, risulta incoercibile purché non vulneri ulteriori valori costituzionali. Al riguardo, la Consulta ha sottolineato che l’infertilità può comportare anche seri danni alla salute psichica della coppia, perciò richiamando la sentenza n. 161 del 1985 ha ribadito che sono leciti gli atti dispositivi del proprio corpo per tutelare la propria salute, inoltre, rifacendosi alle pronunce n. 80 del 2010 e n. 251 del 2008, ha precisato che nella scelta delle misure di tutela deve essere rispettato «un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati».
Invece, per quanto riguarda il divieto generale di diagnosi preimpianto dell’embrione da parte di coppie fertili, ma portatrici di malattia genetica, la Corte costituzionale aveva assunto inizialmente una posizione ambivalente, dichiarando inammissibile per contraddittorietà la questione di costituzionalità con l’ordinanza n. 369[16] del 2006, tanto che il prof. Alfonso Celotto – uno dei maggiori esperti di diritto costituzionale – aveva ravvisato la volontà dei giudici costituzionali di non decidere su una questione così delicata[17].
In seguito, sarà proprio la Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2012 a evidenziare sotto il profilo della ragionevolezza, della coerenza dell’ordinamento e del bilanciamento degli interessi in gioco la distonia del predetto divieto con la disciplina della succitata legge 194.
Infine, è stata particolarmente determinante la pronuncia n. 96 del 2015 con la quale la Consulta ha sancito l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, L. n. 40 del 2004, nella parte in cui vietavano l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche trasmissibili, che rientravano nell’ambito dei criteri di gravità previsti dall’art. 6, comma 1, lett. b), L. 22 maggio 1978, n. 194. In questo caso la Corte costituzionale si è soffermata sulla violazione del criterio di ragionevolezza, dato che si veniva a creare un’ingiustificata disparità di trattamento nel caso delle coppie fertili – ma portatrici di patologie geneticamente trasmissibili – che volevano evitare malformazioni nel nascituro e pericoli per la salute della donna. Il giudice costituzionale, effettuando una sorta di nomofilachia costituzionalmente orientata, ha espunto le antinomie tra gli artt. 1, commi 1 e 2 e 4, comma 1, L. n. 40 del 2004 e la L. n. 194 del 1978, in quanto lo jus superveniens aveva creato un quadro normativo distonico rispetto alla legislazione sull’interruzione volontaria di gravidanza. Pertanto, è stata consentita anche in questo caso la diagnosi genetica preimpianto sull’embrione in vitro per l’acquisizione di informazioni sul suo stato di salute, sicché si è data prevalenza alla tutela della salute e al benessere psico-fisico della donna, prevenendo in fase anticipata le gravi malattie del feto che avrebbero poi obbligato la gestante a effettuare il c.d. aborto terapeutico.
5. Profili medici e psichici dei fattori di rischio collegati al declino della fertilità femminile e alla gravidanza in età avanzata.
In realtà, nella coscienza sociale non è radicata l’idea del declino della fertilità collegato all’età, infatti a causa della precarizzazione e dell’instabilità lavorativa l’età della maternità, soprattutto in Italia, si è progressivamente spostata sempre di più verso l’alto. La difficoltà a creare legami di coppia stabili tipica della coeva temperie socio-culturale, congiuntamente alle varie crisi economiche che ormai si succedono a intervalli frequenti, porta a vivere alla giornata rendendo complicata la pianificazione del futuro, sicché molte coppie finiscono per ignorare più o meno consapevolmente i limiti della c.d. vita fertile soprattutto delle donne. Pertanto, l’età della maternità viene procrastinata eccessivamente e spesso questo accade anche a causa della disinformazione. Difatti, molte donne non hanno avuto figli non per una loro libera scelta ma per aver aspettato troppi anni sottovalutando il rischio rappresentato dal decorso del tempo, senza immaginare che col progressivo declino della fertilità portare a termine una gravidanza sarebbe divenuto arduo o perfino impossibile. Perciò, queste coppie vanno incontro all’impossibilità permanente di avere figli, si tratta di un fenomeno ben noto in ambito medico e denominato PIC, ossia Permanent Involuntary Childlessness.
Le gravidanze naturali e spontanee giunte in età avanzata oltre i quarant’anni, sono eventi rari, soprattutto nelle primipare, e che creano vacue illusioni nelle coppie. Questa situazione ingenera difficoltà nelle coppie anche sotto il profilo psicologico dato che si alternano sentimenti di stupore, negazione, disorientamento e, specialmente nelle donne, sensi di colpa, di dispiacere e di sconforto per non aver compreso di non avere davanti a sé una lunga prospettiva. La frustrazione del desiderio di genitorialità instaura nelle coppie infertili un vissuto caratterizzato da angoscia, disperazione e deprivazione. La qualità di vita e la progettualità della coppia spesso peggiorano e si instaurano disturbi psicologici, emotivi, relazionali e sessuali. L’esperienza è spesso drammatica per la donna nella quale il disagio psicologico per la deprivazione della maternità assomiglia alla fase di elaborazione del lutto per la mancata prosecuzione del proprio sé biologico. Sicché, spesso la donna precipita nell’apatia, di cui il prof. Alberto Costa ha descritto magistralmente le caratteristiche essenziali definendola:
«come una sindrome che può includere vari sintomi che vanno dalla diminuzione di sentimenti ed emozioni, interessi o preoccupazioni alla mancanza di azione auto-iniziata, una diminuzione dei comportamenti volontari»[18].
In questo scenario desolante, laddove la salute mentale delle donne è messa a rischio dalla più che comprensibile frustrazione della legittima aspirazione alla maternità, la procreazione medicalmente assistita (PMA) può essere un notevole ausilio per le coppie che non riescono a esaudire il desiderio di genitorialità tramite le modalità naturali.
Infatti, a livello globale, circa lo 0,3% di tutti i bambini nati ogni anno sono concepiti utilizzando trattamenti di tecnologia di riproduzione assistita (ART)[19].
Perciò, è singolare che ci siano ancora “pseudo-moralisti” che congetturano teorie inverosimili per limitare la PMA. Sebbene, sotto il profilo medico, va precisato che la PMA non può, allo stato attuale delle biotecnologie, sopperire completamente al declino fisiologico della fertilità femminile prolungandola ben oltre i limiti naturali e, comunque, non può raggiungere mai le percentuali di concepimento equivalenti alle modalità naturali invalse in una coppia giovane. Ne consegue, che è molto importante che i medici ginecologi sappiano calcolare la riserva ovarica di una donna, vale a dire la quantità di ovociti disponibili nelle ovaie di una donna per poter intraprendere una gravidanza. A questo riguardo, va precisato che ogni donna alla nascita è dotata di una riserva di più o meno 400.000 ovuli e si ritiene che, durante la pubertà quando inizia il periodo fertile, possieda circa 300.000 ovuli. Tuttavia, dopo i 35 anni la fertilità femminile va incontro a un repentino declino e le possibilità di avere un figlio tramite modalità naturali dopo i 40 anni sono molto ridotte. Infatti, le donne trentenni che godono di buona salute hanno mensilmente circa il 10-15% di probabilità di concepimento, viceversa dopo i quarant’anni le probabilità di concepimento si riducono fino al 5% diventando quasi nulle intorno ai quarantacinque anni. Ne discende che, qualora una donna di circa 43 anni riuscisse a concepire naturalmente è, purtroppo, probabile che nella metà dei casi si verificherà un aborto spontaneo, causato da anomalie degli embrioni che li rendono incompatibili con la vita, sicché in questa situazione l’unico modo di portare a termine una gravidanza partorendo un neonato sano è di ricorrere alla PMA.
Peraltro, la gravidanza naturale in età avanzata costituisce un rischio per la donna, infatti una donna ultra quarantenne che restasse incinta in modo naturale potrebbe comunque avere delle complicanze suscettibili di costituire un pericolo per la sua salute. Infatti, è elevata la probabilità di anomalie cromosomiche nonché di aborti spontanei che potrebbero essere entrambe ridotte dalla PMA perché, dopo le modifiche introdotte dalla giurisprudenza, è attualmente possibile effettuare la diagnosi preimpianto. Viceversa, non è possibile scongiurare del tutto la preeclampsia (c.d. ipertensione gestazionale), il diabete gestazionale, il distacco della placenta, il travaglio prematuro e la placenta previa che rappresentano complicazioni molto frequenti nelle ultra quarantenni incinte.
Un esempio emblematico è la preeclampsia (c.d. ipertensione gestazionale), che è ravvisabile nell’insorgenza ex novo oppure nell’aggravamento dell’ipertensione preesistente, insieme alla proteinuria (cioè la presenza patologica di proteine nell’urina) e che si verificano in genere dopo la 20a settimana di gestazione, ma che possono arrecare danni permanenti ai reni e al fegato della madre e del feto. Invece, l’eclampsia è costituita da improvvise e inspiegabili crisi convulsive generalizzate che si osservano nelle pazienti con preeclampsia. In questo caso, la diagnosi viene effettuata sulla scorta della sintomatologia clinica nonché sul dosaggio delle proteine nelle urine. Invece, la placenta previa è un impianto della placenta in corrispondenza o in prossimità dell’orifizio uterino interno, la sintomatologia patognomonica è ravvisabile in un sanguinamento vaginale non doloroso, ma che talvolta può essere imponente esitando anche in uno shock emorragico, perciò si evidenzia la presenza di sangue rosso vivo che si manifesta dopo la 20a settimana di gestazione. La modalità migliore per diagnosticarla è effettuare l’ecografia transvaginale oppure transaddominale. Tuttavia, sussistono rischi notevoli anche per il nascituro come per esempio l’aborto spontaneo o la morte intrauterina.
Inoltre, il diabete e la preeclampsia possono causare ritardi di crescita e complicazioni a carico del feto, nonché la nascita prematura con danni ad alcuni organi come gli occhi e i polmoni. Inoltre, c’è un elevato rischio d’insorgenza della sindrome di Down (trisomia 21), la cui incidenza aumenta con l’avanzare dell’età materna. Infatti, le probabilità di concepire con metodi naturali un figlio non sano sono di circa 1 su 100 qualora la madre sia una ultra quarantenne, probabilmente questo accade a causa di una maggiore incidenza di anomalie cromosomiche a carico del feto. Per questi motivi, per avere un nascituro sano è essenziale – a mio avviso – la prevenzione, perciò va suggerito alle pazienti incinte di effettuare in via preliminare i test di screening prenatale non invasivi (NIPT) e successivamente sempre anche i test di conferma diagnostica come l’amniocentesi e la villocentesi, che pur essendo più invasivi garantiscono con accuratezza il riscontro di eventuali malformazioni del feto. In tal senso, si è pronunciato anche il prof. Vittorio Fineschi, uno dei massimi esperti di medicina legale, che ha sottolineato che:
«I test sono fondamentali per consentire alle madri di prendere decisioni informate sulla possibilità di interrompere la gravidanza. […] Gli scenari di danno derivano da una mancanza di informazioni o diagnosi prima del parto, che priva la madre della possibilità di interrompere la gravidanza»[20].
Inoltre, è opportuno sottolineare l’importanza del ruolo della tromboprofilassi in gravidanza, infatti la prof.ssa Stefania Basili – da sempre all’avanguardia negli studi scientifici sulla medicina di genere finalizzata alla salvaguardia della salute delle donne – ha analizzato la relazione tra trombofilia e complicanze della gravidanza, soffermandosi con particolare attenzione sul ruolo dell’infiammazione e ha concluso che:
«In Italia, ogni anno 500.000 coppie si rivolgono a centri specializzati a causa di problemi riproduttivi. Tra questi, la perdita di gravidanza ricorrente (RPL) rappresenta un problema di grande importanza, dato che colpisce fino al 5% delle donne in età fertile. L’infertilità, invece, è una condizione che attualmente copre il 10-20% delle coppie in età riproduttiva, essendo idiopatica nel 20% dei casi. Evidenze crescenti supportano il concetto che i cambiamenti della coagulazione del sangue, genericamente definiti come la presenza di uno stato trombofilico (congenito o acquisito), sono alla base del 40-70% dei casi di aborti multipli o infertilità. Diverse evidenze supportano l’ipotesi che la disfunzione endoteliale, segno distintivo di una condizione di infiammazione di basso grado, sia una delle prime manifestazioni di fenomeni trombotici»[21].
Pertanto, la PMA può diventare necessaria per evitare problemi qualora la donna abbia più di trentacinque anni e la coppia non riesca a concepire esclusivamente con metodi naturali.
Nondimeno, l’insorgenza di alcune malattie può ridurre la fertilità femminile tra cui va annoverata anche l’endometriosi, che è una patologia che colpisce milioni di donne ed è causata dalla presenza e dall’accrescimento progressivo di cellule endometriali funzionanti, che si impiantano nella pelvi producendo mucosa uterina in sede abnorme al di fuori della cavità uterina.
A questo riguardo, il prof. Andrea Lenzi – in un importante ed esplicativo studio comparativo sulla riserva ovarica tra pazienti con diabete di tipo 1 (T1D) e donne affette da endometriosi – ha magistralmente rilevato che le due patologie:
«potrebbero condividere diverse caratteristiche fisiopatologiche, come la cronica infiammazione e l’alterata modulazione immunitaria, ed è stato ipotizzato che siano coinvolte nello sviluppo di danno e disfunzione follicolare», soggiungendo che «la determinazione nel siero dell’Ormone anti-mülleriano (AMH) potrebbe essere un utile strumento clinico in pianificazione della gravidanza e gestione della fertilità in pazienti con T1D»[22].
D’altronde, è ben noto il peggioramento durante la gravidanza di un preesistente stato di prediabete, infatti il prof. Antonio Gasbarrini – uno dei massimi esperti del microbiota umano – ha dimostrato in un recente studio scientifico che:
«i cambiamenti metabolici materni includono aumento della gluconeogenesi, lipolisi e insulino-resistenza. Tale condizione diabetogenica acquisita è funzionale e induce iperglicemia fisiologica materna, che a sua volta aumenta la disponibilità di glucosio per il feto in crescita. Pertanto, cambiamenti significativi nel microbiota intestinale materno si verificano durante la gravidanza». Altresì, precisando che: «L’endometrio non è un sito sterile. Il microbiota endometriale residente è stato definito solo di recente. Tuttavia, rimangono domande riguardanti i componenti principali del microbiota endometriale e il loro impatto sul tratto riproduttivo per quanto riguarda sia la fertilità che gli esiti della gravidanza»[23].
In tal senso, la Dott.ssa Daniela Galliano[24] et alii hanno dimostrato che anche l’obesità femminile e l’aumento dell’indice di massa corporea (BMI) nonché i disturbi metabolici della paziente hanno un effetto negativo sulla ricettività endometriale, soggiungendo che in caso di endometriosi: «La maggior parte dei trattamenti mira a creare un ambiente ipoestrogenico, ma per le pazienti che desiderano concepire, sono necessari farmaci che consentano la normale funzione ovarica»[25].
Peraltro, giova precisare che anche le infezioni trasmesse congenitamente da virus, batteri e parassiti possono causare la morte del nascituro infettando gli organi fetali in seguito alla trasmissione transplacentare dell’agente biologico patogeno dal flusso sanguigno materno. Infatti, recenti ricerche[26] – effettuate su donne in gravidanza con infezione da Covid-19 – hanno evidenziato che queste ultime hanno partorito neonati morti. In questi casi, l’infezione virale da Sars-CoV-2 provoca infiammazione e danni alla placenta, una combinazione di risultati distruttivi concomitanti che includono un aumento massiccio della deposizione di fibrina che determina trombosi e necrosi, ma in alcuni casi anche un’emorragia placentare, che provocano una grave e diffusa distruzione del parenchimale placentare. Pertanto, sotto il profilo della prevenzione nelle gestanti si sono ingenerate ulteriori perplessità durante la pandemia da Covid-19, dato che molte persone si sono interrogate sulla sicurezza e sull’opportunità della vaccinazione anti Sars-CoV-2 durante la gravidanza. In effetti, un recente studio[27] ha concluso che la vaccinazione sembra essere sicura e benefica per le donne in gravidanza e non è associata a un aumento dei rischi di esiti avversi peripartum. Peraltro, in un importante studio sulla sicurezza e l’immunogenicità della vaccinazione contro SARS-CoV-2 in pazienti con malattie reumatiche infiammatorie come la vasculite crioglobulinemica (MC), che è una malattia multisistemica caratterizzata dalla presenza di immunocomplessi crioprecipitabili (cioè che precipitano alle base temperature) circolanti nel siero, le prof.sse Stefania Basili e Milvia Casato hanno in effetti magistralmente rilevato che:
«Il tasso complessivo di riacutizzazione post-vaccinazione osservato nei pazienti con MC è simile a quello riportato in altre malattie reumatiche autoimmuni», precisando che «Le nostre osservazioni incoraggiano la somministrazione del richiamo del vaccino ai pazienti con MC»[28].
A fortiori, in presenza di cure mediche invasive come quelle chemioterapiche oppure nel caso delle pazienti in cui sono state riscontrate patologie ginecologiche croniche suscettibili di incidere negativamente sulla fertilità, come accade nel caso dell’endometriosi, sarebbe auspicabile valutarne la prognosi riproduttiva effettuando per tempo semmai la crioconservazione dei gameti, in modo da poterli adoperare negli anni futuri tramite la PMA.
6. Considerazioni conclusive.
Va conclusivamente precisato, che le ombre che connotavano l’impianto originario della L. n. 40 del 2004 qui in esame erano senz’altro di gran lunga prevalenti sulle luci, dato che era priva di un netto ubi consistam e nasceva già vecchia. Giacché, la L. 40/2004 faceva riferimento a un paradigma normativo già superato dall’evoluzione dei tempi e non più attuale, rielaborato unilateralmente da un legislatore laudator temporis acti, che aveva una visione restrittiva del concetto di genitorialità circoscritto all’esclusivo modello di riferimento ormai sbiadito della famiglia tradizionale e che, perciò, limitava la libertà di autodeterminazione a una genitorialità moderna e consapevole. Difatti, il legislatore nazionale non era riuscito a trovare un punto d’equilibrio per bilanciare la soggettività del concepito con la tutela della salute riproduttiva della donna, escludendo tra l’altro i portatori di patologie genetiche trasmissibili dalle tecniche di PMA, nonché precludendo la donazione di gameti da parte di donatori estranei alla coppia e quindi la fecondazione eterologa.
Inoltre, la normativa sul consenso informato strideva visibilmente col divieto della diagnosi genetica preimpianto, poiché impediva alla coppia di autodeterminarsi consapevolmente e pregiudicava il diritto del nascituro a nascere sano. Le perplessità erano molteplici anche sulla vexata quaestio del numero massimo di embrioni fecondabili e il rispettivo obbligo di impianto simultaneo, nonché sul restrittivo divieto assoluto di ricerca scientifica sugli embrioni. Tuttavia, le varie pronunce della Corte costituzionale hanno superato molte delle barriere e delle limitazioni introdotte dall’impostazione prevalentemente ideologica che contrassegnava la legislazione sulla PMA. Difatti, io a questo riguardo avevo aliunde sottolineato che finalmente:
«le recenti pronunce della giurisprudenza hanno conciliato una visione laica dei diversi interessi in gioco nelle procedure di fecondazione assistita con una lettura costituzionalmente e sistematicamente orientata delle singole disposizioni legislative, trovando un punto di equilibrio tra le diverse normative vigenti»[29].
Per altro verso, la rivisitazione parziale dell’assetto normativo originario della L. n. 40/2004 effettuata dal giudice costituzionale si è limitata alla rimozione delle antinomie che stridevano con i principî costituzionali e i diritti individuali. Ma, a mio avviso, sarà inevitabile un’ulteriore rivisitazione migliorativa de jure condendo da parte del legislatore nazionale, per riordinare e adeguare la predetta normativa alle future istanze familiari e alle nuove formazioni sociali come per es. le unioni civili ex lege n. 76 del 2016 proseguendo nel solco tracciato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
Infatti, lo Stato costituzionale pluralista si pone in netta antitesi alla visione dello Stato etico e questa linea di displuvio, a fortiori, è più marcata proprio in materia di BioDiritto laddove il dettato legislativo deve necessariamente rispettare i diversi e contrapposti diritti coinvolti rendendo precipua l’individuazione del punto di bilanciamento. Alla luce di quanto sopra prospettato, le pronunce della Consulta si pongono in linea con l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza costituzionale che, comunque, lascia ampio spazio all’esercizio della discrezionalità legislativa, ma fissa dei precisi paletti per un ragionevole esercizio di quest’ultima nel porre dei limiti e stabilire modalità e garanzie, specialmente nelle relative procedure inerenti alla PMA. Tuttavia, nell’esercizio della discrezionalità legislativa è di fondamentale importanza che il legislatore effettui – melius re perpensa – un adeguato bilanciamento che tenga sempre conto dei delicati equilibri e di tutti i contrastanti interessi coinvolti, evitando di imporre divieti assoluti e preclusioni generali irragionevoli che non consentano di distinguere la diversità delle situazioni soggettive. Pertanto, sarebbe opportuno che il legislatore nazionale, a prescindere dalla maggioranza politica di turno, rispettasse le decisioni personali attinenti alla vita privata delle persone, soprattutto quelle concernenti la tutela della salute e le scelte riproduttive che dovrebbero essere sempre libere dalle restrizioni valoriali quando non vulnerano principî costituzionali.
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[*] Professor of Occupational and Legal Medicine and BioLaw and also History of Medicine at the Niccolò Cusano University of Rome; Scientific Director of the Journal of Medicine and Human Sciences; Head of Medical Disciplines; Doctor of Medicine (M.D.); Doctor of research (Ph.D.); Attorney at Law (Esq.); Postgraduate Specialization Diploma for the Legal Professions (SSPL).
Professore a contratto di Medicina del Lavoro, Medicina Legale e BioDiritto nonché di Storia della Medicina nell’Università degli Studi Niccolò Cusano – Telematica Roma; Direttore Scientifico della Rivista di Medicina e Scienze Umane, Responsabile delle Discipline Mediche; Medico Chirurgo; Dottore di Ricerca in Medicina Legale e Scienze Forensi; Avvocato; Specialista in Professioni Legali;
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[1] D’Aloia A., Dal rifiuto di cure al suicidio medicalmente assistito. Riflessioni sulla ‘svolta’ della Corte costituzionale, in Giovanni D’Alessandro-Ombretta Di Giovine (a cura di), La Corte costituzionale e il fine vita. Un confronto interdisciplinare sul caso Cappato-Antoniani, Giappichelli Editore, 2020, cit. p. 153.
[2] Per quanto concerne il rapporto tra scienza e giurisprudenza nell’ambito del BioDiritto e della Bioetica, si consultino le relazioni di R. Balduzzi, C. Casonato, L. Chieffi, S. Penasa, in Atti del convegno su La Medicina nei Tribunali, Seconda Università degli studi di Napoli, 5 febbraio 2015, nonché Bio-tecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, a cura di A. D’Aloia, Torino 2005.
[3] Rodotà S., come riportato da Casonato C., Introduzione al biodiritto, Torino 2012, 156.
[4] Cfr., Casonato C., Introduzione al biodiritto. La bioetica nel diritto costituzionale comparato, Quaderni del Dipartimento di Scienze giuridiche, Università di Trento, 96.
[5] V., Casonato C. e Camassa E. (a cura di), La procreazione medicalmente assistita: ombre e luci, Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Scienze Giuridiche, Quaderno n. 47, Trento 2005;
[6] Cfr., amplius, Pocar, La legge italiana sulla fecondazione assistita, ovvero come e perché si violano i diritti delle cittadine e dei cittadini, «Sociologia del diritto», 31, 2004, n. 1, pp. 5-12; nonché su analoghe posizioni v. anche G. Baldini, Riflessioni di Biodiritto, Firenze, 2002, pp. 19 ss.
[7] V., Busnelli, Relazione di sintesi, in Procreazione assistita e interventi nella genetica umana, Padova, 1987, p. 220.
[8] Cfr., amplius, La procreazione medicalmente assistita. Al margine di una legge controversa, a cura di Celotto A., Zanon N., Milano 2004.
[9] V., Giustiniani P., Bioetica e laicità dello Stato, in Bioetica. Percorsi e incroci, a cura di P. Favo, A. Staglianò, Napoli 2008, 122 ss., spec. 129.
[10] Frati P, La Russa R, Santurro A, Fineschi B, Di Paolo M, Scopetti M, Turillazzi E, Fineschi V., Bioethical issues and legal frameworks of surrogacy: A global perspective about the right to health and dignity. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2021 Mar;258:1-8. doi: https://doi.org/10.1016/j.ejogrb.2020.12.020 . Epub 2020 Dec 15. PMID: 33387981.
[11] Si faccia riferimento in tema di giustizia costituzionale all’autorevole opinione dottrinale di Giovanni D’Alessandro, La Corte costituzionale e lo “strano caso” della decisione in due tempi della vicenda “Cappato-Antoniani” sull’aiuto al suicidio, in Giovanni D’Alessandro-Ombretta Di Giovine (a cura di), La Corte costituzionale e il fine vita. Un confronto interdisciplinare sul caso Cappato-Antoniani, Giappichelli Editore, 2020, cit. pag. 141;
[12] Cfr., Spasari T., Sentenza sulla procreazione medicalmente assistita. Ammessa la diagnosi pre-impianto sugli embrioni. Il Tar Lazio annulla le contrarie disposizioni delle Linee Guida di cui al DM 21 luglio 2004, in Giornale della previdenza ENPAM, mensile – anno X – numero 4 del 21/04/2008, edito dalla Fondazione ENPAM, cit., p. 57.
[13] In tal senso v., Penasa S., Nuove dimensioni della ragionevolezza? La ragionevolezza scientifica come parametro della discrezionalità legislativa in ambito medico-scientifico. Spunti dalla sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale, in Forumcostituzionale.it, 2014. V. al riguardo Casonato C., La fecondazione eterologa e la ragionevolezza della Corte, in confronticostituzionali.eu, 2014.
[14] Pirozzoli A., Il monologo della Corte costituzionale sull’aiuto al suicidio, in Giovanni D’Alessandro-Ombretta Di Giovine (a cura di), La Corte costituzionale e il fine vita. Un confronto interdisciplinare sul caso Cappato-Antoniani, Giappichelli Editore, 2020, cit. p. 363.
[15] Cfr., amplius, Carlo Casonato, Un diritto difficile. Il caso Lambert fra necessità e rischi, in Nuova Giur. Civ., 2015, 9, 20489 (commento alla normativa).
[16] Al riguardo v. la massima dell’ordinanza Corte cost., 09/11/2006, n. 369: «È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della L. 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui fa divieto di ottenere, su richiesta dei soggetti che hanno avuto accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, la diagnosi preimpianto sull’embrione ai fini dell’accertamento di eventuali patologie, giacché la norma contenuta in tale disposizione (divieto di diagnosi preimpianto) è desumibile anche da altri articoli della stessa legge, non impugnati, nonché dall’interpretazione dell’intero testo legislativo “alla luce dei suoi criteri ispiratori”».
FONTI
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Riv. Giur. Sarda, 2007, 1, 1 nota di CAREDDA.
[17] Cfr., Celotto A., La Corte costituzionale «decide di non decidere» sulla procreazione medicalmente assistita, in Giur. Cost., 2006, p. 3846 e ss., nonché in tal senso v., A. Morelli, Quando la Corte decide di non decidere. Mancato ricorso all’illegittimità conseguenziale e selezione discrezionale dei casi (nota a margine dell’ord. n. 369 del 2006), in Forumcostituzionale.it, 2006. Altresì, v. anche Chieffi L., La diagnosi genetica nelle pratiche di fecondazione assistita; alla ricerca del giusto punto di equilibrio tra le ragioni dell’impianto dell’embrione e quelle della donna ad avviare una procreazione cosciente e responsabile, in Giur. Cost., 2006, p. 4730 e ss. e anche D’Amico M., Il giudice costituzionale e l’alibi del processo, in Giur. Cost., p. 3859 e ss., spec. 3861.
[18] Cfr., amplius, Perri R, Carlesimo G.A, Costa A, The contribution of neuropsychological and neuroimaging research to the definition of the neurocognitive correlates of apathy, Neuropsychologia, Volume 118, Part B, 2018, Pages 1-3, ISSN 0028-3932,
https://doi.org/10.1016/j.neuropsychologia.2018.08.013. (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0028393218304974);
[19] V., Daniela Galliano et alii, COVID-19 and assisted reproductive technology services: repercussions for patients and proposal for individualized clinical management, 2020,
in https://doi.org/10.1186/s12958-020-00605-z ;
[20] Frati P, Fineschi V, Di Sanzo M, La Russa R, Scopetti M, Severi FM, Turillazzi E. Preimplantation and prenatal diagnosis, wrongful birth and wrongful life: a global view of bioethical and legal controversies. Hum Reprod Update. 2017 May 1;23(3):338-357. doi: https://doi.org/10.1093/humupd/dmx002 . PMID: 28180264.
[21] Cfr., amplius, La Farina F, Raparelli V, Napoleone L, Guadagni F, Basili S, Ferroni P. Inflammation and Thrombophilia in Pregnancy Complications: Implications for Risk Assessment and Clinical Management. Cardiovasc Hematol Disord Drug Targets. 2016;15(3):187-203. DOI: https://doi.org/10.2174/1871529×16666160101122530 PMID: 26721521. Nonchè v., Ferroni P, La Farina F, Palmirotta R, Martini F, Raparelli V, Nigro C, Riondino S, Rampini MR, Basili S, Guadagni F. Predictive value of thrombopath determination in women with infertility and pregnancy complications. Clin Chim Acta. 2010 Jan;411(1-2):37-42. DOI: https://doi.org/10.1016/j.cca.2009.09.035 Epub 2009 Oct 3. PMID: 19808032.
[22] Filardi T, Morano S, Tartaglione S, Porpora MG, Tiberti C, Lenzi A, Angeloni A, Anastasi E. Anti-Müllerian hormone as marker of ovarian reserve in patients with long-standing type 1 diabetes. J Biol Regul Homeost Agents. 2020 Sep-Oct;34(5):1959-1962. DOI: https://doi.org/10.23812/20-365-L PMID: 33179464.
[23] Cfr., passim, Di Simone N, Santamaria Ortiz A, Specchia M, Tersigni C, Villa P, Gasbarrini A, Scambia G, D’Ippolito S. Recent Insights on the Maternal Microbiota: Impact on Pregnancy Outcomes. Front Immunol. 2020 Oct 23;11:528202. doi: https://doi.org/10.3389/fimmu.2020.528202 ; PMID: 33193302; PMCID: PMC7645041.
[24] V., Daniela Galliano et alii, Obesity Affects Endometrial Receptivity by Displacing the Window of Implantation, 2021, in https://doi.org/10.1007/s43032-021-00631-1 ;
[25] V., Daniela Galliano et alii, Use of dopamine agonists to target angiogenesis in women with endometriosis, 2021, in https://doi.org/10.1093/humrep/deaa337 ;
[26] Schwartz DA. Stillbirth after COVID-19 in Unvaccinated Mothers Can Result from SARS-CoV-2 Placentitis, Placental Insufficiency, and Hypoxic Ischemic Fetal Demise, Not Direct Fetal Infection: Potential Role of Maternal Vaccination in Pregnancy. Viruses. 2022 Feb 23;14(3):458. DOI: https://doi.org/10.3390/v14030458 PMID: 35336864; PMCID: PMC8950737.
[27] Watanabe A, Yasuhara J, Iwagami M, Miyamoto Y, Yamada Y, Suzuki Y, Takagi H, Kuno T. Peripartum Outcomes Associated With COVID-19 Vaccination During Pregnancy: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Pediatr. 2022 Oct 3. DOI: https://doi.org/10.1001/jamapediatrics.2022.3456 Epub ahead of print. PMID: 36190704.
[28] Visentini M, Gragnani L, Santini SA, Urraro T, Villa A, Monti M, Palladino A, Petraccia L, La Gualana F, Lorini S, Marri S, Madia F, Stefanini L, Basili S, Fiorilli M, Ferri C, Zignego AL, Casato M. Flares of mixed cryoglobulinaemia vasculitis after vaccination against SARS-CoV-2. Ann Rheum Dis. 2022 Mar;81(3):441-443. DOI: https://doi.org/10.1136/annrheumdis-2021-221248 Epub 2021 Nov 24. PMID: 34819272.
[29] Cfr., Spasari T., Sentenza sulla procreazione medicalmente assistita. Ammessa la diagnosi pre-impianto sugli embrioni, ibidem.
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