The biotestament between informed consent and penal consequences

 

di Paolo Fuoco, Esq., Ph.D.[*]

 

 

Accettato: 26 novembre 2022 – Pubblicato: 16 dicembre 2022

 

Il presente contributo prima di essere pubblicato è stato sottoposto a procedura di referaggio (peer review) in base al regolamento editoriale della Rivista.

 

 

SOMMARIO

 

Abstract

1.      Diritto, bioetica e diritto alla vita

2.      Il fine vita

3.      La l. 219/2017 e le disposizioni anticipate di trattamento (DAT)

4.      Conclusioni

Bibliografia

Note legali

 

Abstract

the theme of the biowill is that of the advance dispositions of treatment disciplined by the l. 219/2017. Specifically, this law regulates informed consent and the principle of self-determination in the health sector. It is a topic that is difficult to deal with, not only for ideological reasons, in which the contributions provided by the jurisprudence have been decisive, especially by the Constitutional Court. In particular, the Constitutional Court, with the sentence of 16th November 2018 n.217, acknowledged that no one is entitled to practice treatments aimed at causing the death of the patient who is in serious condition. In fact, the only possibility expressed by the law n. 219/2017 is to interrupt health treatments, not to operate in such a way as to actively affect in order to cause the exitus.

In this extreme and irreversible case, the DAT can be enforced, which must be drawn up by public deed, by authenticated private agreement or private agreement. If the physical condition of the patient does not allow it, DATs can be expressed through video recording or devices that allow the person with disabilities to communicate.

 

1.     Diritto, bioetica e diritto alla vita

Il termine bioetica è comparso per la prima volta nel 1970[2] per indicare la nuova disciplina che, attraverso la combinazione tra la conoscenza biologica (bio) e quella del sistema dei valori umani (etica), avrebbe consentito di garantire la sopravvivenza dell’umanità dinanzi al tumultuoso progresso delle scienze nei campi della biotecnologia, della biomedicina e dell’ingegneria genetica, che aprivano la strada a inimmaginate possibilità di manipolazione della vita umana e della natura.

Nel corso degli anni, le questioni poste della bioetica sono arrivate alle aule di giustizia, ponendo gli operatori del diritto e la magistratura, in particolare, dinanzi alla necessità di assumere delle decisioni, spesso con conseguenze irreversibili, che coinvolgono direttamente la vita della persona e la sua dignità, a partire dai due grandi ambiti da cui sono originati i temi fondamentali della disciplina: il nascere e il morire.

Elemento della dignità delle persone umane è il diritto alla autodeterminazione, esaminato dalla Corte europea dei diritti umani prevalentemente con riguardo all’art. 8 della Convenzione europea , che afferma il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Anche il diritto alla vita menzionato all’art. 2 è stato oggetto di interpretazione ed applicazione sotto particolari profili e ambiti applicativi.

 

2.    Il fine vita

Sebbene la Convenzione europea abbia riconosciuto il diritto alla vita negli artt. 2 e 8, non altrettanto si può dire per il diritto a morire. Al tentativo di sostenere che il diritto alla vita implichi anche il diritto della persona a porvi fine, la risposta della Corte europea è stata negativa sulla base dell’art. 2, nel senso che dal diritto alla vita non si può trarre il suo opposto e cioè il diritto di morire[3].

La Corte, sempre sotto il profilo dell’art. 2, ha però riconosciuto la compatibilità della Convenzione con legislazioni statali che ammettono forme di suicidio assistito a condizione che esistano efficaci procedure che accertino la validità della volontà espressa dalla persona[4]. In Italia, ove sono puniti come delitti sia l’omicidio del consenziente che l’aiuto al suicidio, è noto il caso Englaro affrontato dalla Cassazione[5], dal Consiglio di Stato[6] e dalla Corte costituzionale[7] dell’autorizzazione a interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale, ottenuta dal curatore di malata da lungo tempo irreversibilmente in stato di coma.

Sull’art. 580 c.p. è intervenuta la sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale che ha riconosciuto l’irragionevolezza di un divieto di aiuto al suicidio in un sistema che riconosce il diritto del paziente di rifiutare terapie anche quando dal rifiuto derivi la morte, qualora la persona che ha deciso di morire sia affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, e  capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Prima ancora, l’ordinanza n. 207 del 2018 rappresenta una delle decisioni che hanno maggiormente segnato la giurisprudenza costituzionale in oggetto, sia per le questioni trattate che per il dibattito dottrinale che ne è conseguito. Nello specifico, la Corte costituzionale è stata chiamata, dalla Corte di Assise di Milano, a intervenire in merito alla sospettata illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio a prescindere dal loro contributo alla determinazione o rafforzamento del proposito di suicidio.

In particolare, la Corte d’assise sosteneva che l’incriminazione delle condotte di aiuto al suicidio, non rafforzative del proposito della vittima, fosse in contrasto con i principi sanciti dagli articoli 2 e 13 della Costituzione, dai quali discenderebbe la libertà della persona di scegliere quando e come porre termine alla propria vita.

Anche il tribunale di Roma denunciò le difficoltà nel coordinare principi opposti[8], nel tentativo di proporre un bilanciamento tra diritti fondamentali: quello all’autodeterminazione e quello al perseguimento della vita9.

La vicenda nasceva dal caso di un ex DJ, Fabiano Antoniani, che a seguito di un grave incidente automobilistico, era rimasto tetraplegico e affetto da cecità permanente, non autonomo nella respirazione e nell’alimentazione, in stato di costante e acuta sofferenza, conservando però intatte le facoltà intellettive. Un europarlamentare con cui Fabo era entrato in contatto, Marco Cappato, decise di assecondare le richieste di Fabiano accompagnandolo in auto, assieme alla madre e alla fidanzata, in Svizzera, dove venne compiuto il suicidio, realizzato azionando con la bocca uno stantuffo, attraverso il quale viene iniettato in endovena il farmaco letale.

Di ritorno dal viaggio, Marco Cappato si è autodenunciato all’autorità di pubblica sicurezza e il caso è arrivato al giudizio della Corte d’assise di Milano, dove avrebbe condotto alla condanna di Cappato (e probabilmente anche della madre e della fidanzata di Fabo) se non fossero state sollevate le suddette questioni di costituzionalità. Ad esse la Corte costituzionale ha risposto con l’ordinanza n.

207/2018, che ha innanzitutto operato una drastica delimitazione della questione che il giudice remittente aveva formulato in termini molto ampi: in nome dell’autodeterminazione individuale, veniva, infatti, prospettata una libertà, costituzionalmente garantita, di scegliere come e quando porre fine alla propria vita (il cd. diritto al suicidio), derivando dalla stessa una generale inoffensività dell’aiuto al suicidio di chi si è autonomamente determinato (anche fosse solo a motivo del cd. taedium vitae) nell’esercizio di tale libertà.

La Corte costituzionale non ha condiviso questa tesi nella sua assolutezza; nella pronuncia, infatti, si afferma che dall’art. 2 Cost. discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e non quello opposto «di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire» lasciando poi il legislatore libero di intervenire con atto normativo.[9]

 

3.     La l. 219/2017 e le disposizioni anticipate di trattamento (DAT)

In questa prospettiva l’ordinanza si aggancia alla recente legge italiana n. 219 del 2017, sul fine vita , che riconosce ad ogni persona «capace di agire» il diritto, nell’ambito della cosiddetta alleanza terapeutica e nel contesto del sistema di cure palliative della l. n.38 del 2010, di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza, compresi i trattamenti di idratazione e nutrizione artificiale, sottoponendosi a sedazione profonda continua.

Le disposizioni contenute dalla l. 219/2017 forniscono la disciplina sul consenso informato e sul principio dell’autodeterminazione in ambito sanitario. Si tratta di disposizioni anticipate di trattamento (c.d. DAT) che consentono ad ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo aver acquisito le adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso suddette disposizioni, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.

Le DAT per essere valide ed efficaci, ex art. 4 della legge in questione, devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero scrittura privata consegnata personalmente dal disponente all’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in un apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie.

Per venire incontro alle condizioni di salute del paziente, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di poter comunicare.

Se non è indicato il fiduciario o se nel frattempo è deceduto sarà cura del Giudice tutelare che può nominare uno di sua fiducia per eseguire le disposizioni espresse..

Il problema sorge quando il consenso manifestato manca ovvero quando la persona non ha lasciato alcuna disposizione e si trova in stato di incapacità o se minore. L’attribuzione in capo al rappresentante del soggetto minore o invalido di decisioni in ordine al rifiuto di trattamenti sanitari come l’idratazione e la nutrizione artificiali, anche quando gli stessi non rappresentino accanimento terapeutico, sembra spingere il diritto verso un punto di non ritorno: quello della sostituzione dell’istituto giuridico con la sensibilità umana che va a confliggere inevitabilmente con altri interessi primari della persona[10].

L’Italia è stata il primo Paese che a livello mondiale ha riconosciuto il diritto al paziente a evitare dolore, tramite la l. 38/2010 ancor prima del Trattato di Montreal del 2011, che, seppur in forma della semplice dichiarazione di intenti, ha consentito di dar forma a livello internazionale a un importante movimento a favore del riconoscimento di un vero e proprio diritto alla terapia del dolore, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana.

 

4.     Conclusioni

Negli ultimi venti anni, a fronte di un colpevole vuoto legislativo, durato fino alla legge 219/2017, è sempre stata la Corte costituzionale e la giurisprudenza, sia di merito che di Cassazione a riscoprire e dilatare l’art. 32 Cost. per affrontare i problemi del diritto alla salute e definire il rapporto medico-paziente nell’ambito della c.d. ‘alleanza terapeutica’, indicando fra gli aspetti centrali il consenso informato e consapevole del malato all’atto medico.

La Corte Costituzionale, nello specifico, ha stabilito che nessuno è legittimato a determinare la morte del paziente che versi in gravi condizioni. La l. 219/2017 prevede in questi casi la sola possibilità di interrompere trattamenti sanitari e non di operare in modo tale da incidere attivamente al fine di provocare l’exitus. Inoltre, bisogna evidenziare che la l. citata, nel cercare un bilanciamento tra i diversi diritti in gioco, ribadisce la centralità del consenso informato in materia di trattamenti sanitari, ha affermato il principio secondo cui la volontà espressa dal paziente obbliga il sanitario ad uniformarsi alla scelta, con conseguente esenzione della responsabilità civile o penale, soprattutto se decisa dal giudice tutelare.

Il consenso espresso dal paziente può costituire una scriminate della condotta del medico che elimina l’antigiuridicità di un comportamento, in considerazione del riconoscimento del principio dell’autodeterminazione espressa dall’art. 32 della Costituzione.

 

 

Bibliografia

Cavalla F., Diritto alla vita, diritto sulla vita. Alle origini delle discussioni sull’eutanasia, in Dir. e società, 2008, I.

Fimiani P., Le responsabilità penali nelle scelte di fine vita in attesa della Corte Costituzionale nel caso Cappato, in penalecontemporaneo.it, 2018.

Nicolussi A., Testamento biologico e problemi di fine vita: verso un bilanciamento dei valori o un nuovo dogma della volontà?, in Europa e dir. priv., 2013.

Sirotti Gaudenzi A., Il biotestamento, Santarcangelo di Romagna, Maggioli ed., 2018.

Verducci V. (a cura di), Il diritto sulla vita. Testamento biologico, autoderminazione e dignità della persona, Pacini Giuridica, Pisa, 2018.

Zagrebelsky V., Chenal R., Tomasi L., Manuale dei diritti fondamentali in Europa, 2° ed., Bologna, 2019.

 

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[*] Professore nell’Università degli Studi Niccolò Cusano – Telematica Roma; Dottore di ricerca (Ph.D); Avvocato; Pubblico ministero onorario.

Professor at the Niccolò Cusano University – Rome Telematics; Research Doctor (Ph.D); Lawyer; Honorary prosecutor.

 

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[2] V.R. Potter, Bioethics: the science of survival, in Perspectives in biology and medicine, 1970, 1, 127 ss. (trad. it. Bari 2002) e, successivamente, Id., Bioethics: bridge to the future, New Jersey, 1971. Cfr. S. Rodotà, Bioetica, in Enciclopedia Italiana – VII Appendice, Roma 2006.

[3] Pretty c. Regno Unito, 29 aprile 2002, §§ 37-42.

[4] Haas c. Svizzera, 20 gennaio 2011, §§ 55-58.

[5] Cass., Sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21478.

[6] Cons. Stato, 3 settembre 2014, n. 04460/2014

[7] Corte cost., ordinanza di inammissibilità n. 334/2008.

[8] Trib. Roma, 16 dicembre 2006 (ord.), in Altalex, 2006, e in Corr. Mer., 2007, p. 441. 9 Nicolussi A., Testamento biologico e problemi di fine vita: verso un bilanciamento dei valori o nuovo dogma della volontà?, in Europa e dir. priv., 2013, p. 457.

[9] Sirotti Gaudenzi A., Il biotestamento, Santarcangelo di Romagna, Maggioli ed., 2018, p. 121.

[10] Sirotti Gaudenzi A., Il biotestamento, Santarcangelo di Romagna, Maggioli ed., 2018, p. 122.

 

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Note legali

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