A matter of right or of opportunism?

 

di Giorgio Macellari, M.D.

Chirurgo Senologo (MultiMedica, Milano). Dottore in Filosofia. Membro del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi (Milano).

Breast Surgeon (MultiMedica, Milano). Doctor in Philosophy. Member of the Ethic Committee of the Fondazione Umberto Veronesi (Milano).

 

Accettato: 17 novembre 2022 – Pubblicato: 30 novembre 2022.

Il presente contributo prima di essere pubblicato è stato sottoposto a procedura di referaggio (peer review) in base al regolamento editoriale della Rivista.

 

SOMMARIO:

 

ABSTRACT.

  1. Premessa.
  2. Analisi giuridica.
  3. Il medico può obiettare?
  4. Una situazione emblematica.
  5. Paradossi e anomalie dell’obiezione di coscienza in medicina.
  6. Quali soluzioni?
  7. In sintesi.

Note.

Note legali

 

ABSTRACT.

The article focuses on conscientious objection in health care systems, a form of compromise whereby a practitioner can refuse to take part in procedures he/she considers contrary to his/her own moral integrity, though those procedures are legal, safe and beneficial. Provided that conscientious objection must be faithful to jurisprudence and not compromise other’s interest (individual or collective), the main topics is to understand whether it is possible to give conscientious objection a legal foundation. Taking as a model the 1978 Italian abortion law, the article shows some limits and paradoxes of conscientious objection and – on these premises – asks on which conditions a physician can object. Then, some solutions to ethical and legal conflicts raised from a too impertinent use of conscientious objection among practitioners are suggested, in particular: providing at least one non-objector for one objector; introducing a “price to pay” in order to prevent opportunistic objections; discouraging physicians to enroll at specialization as Gynecology or Anesthesiology. Lastly, the article questions about the possibility that conscience can be correctly used as a compass to solve ethical dilemmas.

 

 1.  Premessa.

Da quando fu istituita, l’obiezione di coscienza (d’ora in avanti Odc) non ha smesso di scuotere le coscienze e di suscitare obiezioni. Non sorprende: molti dilemmi etici – specialmente, ma non esclusivamente, in area medica – convergono proprio sull’idea di “coscienza”: potente, controversa e soggetta a protezioni giuridiche.

Partiamo da una definizione. L’Odc è il rifiuto di ottemperare a un obbligo di legge ritenuto contrario alle personali convinzioni morali, politiche o religiose. L’obiettore, in sostanza, chiede di non sottostare a una norma per restare coerente con i valori in cui crede, pur sapendo che difendendoli potrebbe subire penalizzazioni. L’Odc è quindi antitesi fra un imperativo giuridico collettivo e un imperativo morale individuale: all’autorità della norma il singolo oppone la forza di convincimenti che la rifiutano, per proteggere la propria “integrità morale”.

Un medico – in circostanze specifiche – può ricorrere all’OdC per negare la propria opera. Anch’egli eleva la coscienza a giudice del suo agire e afferma che, pur non impedendo che una certa azione sia compiuta da altri, quell’azione non avrà il suo contributo. Così, però, c’è il fondato rischio che vengano a confliggere interessi opposti: la legge, che non va infranta; l’autonomia del paziente, che il medico deve rispettare; la responsabilità del medico di curare “secondo scienza e coscienza” e il suo diritto di esercitare con una relativa indipendenza dal malato e dalla sua autonomia.

È opinione comune che la “coscienza” sia una facoltà interiore – una “voce”1 – capace di decisioni morali di elevato profilo o l’ultima ratio per risolvere conflitti etici intricati. Anche in ambito medico la coscienza gode di buona reputazione. L’art. 22 del Codice di Deontologia Medica, espressamente la prevede2; il “Giuramento Professionale” che tutti i medici recitano al momento dell’iscrizione all’Albo raccomanda di agire “secondo scienza e coscienza”; la Convenzione europea sui diritti umani la contempla3.

Queste considerazioni solevano però diverse domande. Cosa significa, esattamente, agire secondo coscienza? Obiettare in nome della coscienza è moralmente giustificabile? Merita, la coscienza, un potere normativo? Le convinzioni di coscienza di un individuo possano prevalere su quelle altrui? E una simile prevalenza può essere sancita dalla legge?

In realtà, l’espressione “obiettare per coscienza” è ambigua, perché la sua voce è sempre soggettiva. Come uscirne? Si cercheranno possibili risposte attraverso una sintetica analisi giuridica del problema e valutando le implicazioni della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza.

 

 2.  Analisi giuridica.

L’Odc è normata in Italia dal 1972, con il rifiuto di arruolamento nelle forze armate, allora obbligatorio. Ma l’abolizione della leva l’ha resa inutile, in quell’ambito: chi non vuole imbracciare le armi, semplicemente non si arruola. Oggi solo 3 leggi prevedono l’Odc: la 194/1978 (interruzione volontaria di gravidanza – IVG), la 413/1993 (sperimentazione animale) e la 40/2004 (procreazione medicalmente assistita – PMA). Nel frattempo, avanzano proposte per estenderla a: aborto con pillola RU-486; contraccezione farmacologica d’emergenza; interventi per il cambio di sesso; vaccinazioni obbligatorie. Infine, si fanno strada forme “sociali” di obiezione: rifiuto di togliere certi indumenti o simboli religiosi, di prestare opera in seggi elettorali, di adempiere a obblighi fiscali; obiezione ecologica; obiezione a consumare o produrre certi alimenti.

La questione più delicata riguarda il giustificare un fondamento giuridico al diritto di Odc. In altri termini: può una legge includere una deroga a sé stessa in nome dell’Odc senza incorrere in qualche forma di contraddizione logica o di ingiustizia? Se per un cittadino risultasse offensivo obbedire a una legge, allora andrebbe trovato il modo di soddisfare le sue istanze di coscienza. Ma in tal caso la sua obiezione non dovrebbe tacitare le voci di altre coscienze o vanificare interessi altrui, tutelati dalla legge. Per uscire da questo vicolo cieco l’Odc dovrebbe rispettare almeno 2 condizioni.

  1. Preservare la fedeltà all’ordinamento delle leggi. Come la coscienza pretende fedeltà ai propri imperativi morali, così l’ordinamento la esige per i valori su cui si fonda e per le norme a cui chiede obbedienza. Tra i principi fondanti del nostro ordinamento c’è l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, per evitare discriminazioni a danno di alcuni o privilegi a favore di altri. Il principio di eguaglianza, quindi, trova nell’Odc un primo limitesuperiore, valicabile con un contrappeso compensatorio4.
  2. Non compromettere interessi altrui. Se la legge cui l’obiettore chiede di sottrarsi danneggia interessi collettivi o individuali, diventa problematico derogarvi. Qui l’Odc trova un suo limiteinferiore. Per concederla, quindi, andrebbero previsti controlli per verificare se altri interessi saranno danneggiati (ad esempio vigilando sul numero di coscienze obiettanti rapportato al numero dei fruitori di diritti). E, ove fosse impossibile tutelare i diritti protetti, la concessione dell’Odc dovrebbe essere negata o revocata. In effetti, l’Odc è strumento a disposizione di una minoranza (o di un singolo obiettore per volta): non può invece diventare fenomeno collettivo, perché muterebbe indisobbedienza civile5.

Una terza considerazione riguarda il ruolo dell’obiettore. Alcuni soggetti, per la loro professione, non possono appellarsi a un’Odc. Ad esempio, l’insegnante di una scuola pubblica non può escludere certi contenuti del programma ministeriale perché contrari alla propria morale; un giudice non può rifiutarsi di applicare una legge perché la sua coscienza non la condivide; l’autista cattolico di un pullman di linea non può escludere tra i passeggeri un musulmano perché ostile al suo credo…

Nel perimetro di tali restrizioni la clausola obiettoria andrebbe concessa. Si tratta allora di valutare se la professione del medico ricade in quel perimetro.

 

 3.  Il medico può obiettare?

Per il Codice di Deontologia Medica sì6. Ma lo stesso Codice, all’art. 13, raccomanda: “La prescrizione deve fondarsi sulle evidenze scientifiche disponibili…”, e “Il medico non adotta né diffonde pratiche diagnostiche o terapeutiche delle quali non è resa disponibile idonea documentazione scientifica e clinica valutabile dalla comunità professionale e dall’Autorità competente”. Ciò significa che il medico, per esercitare con professionalità, deve obbedire a linee-guida “evidence-based”. Ma qual è il suo obbligo prioritario in caso di conflitto? Gli imperativi di coscienza o le evidenze?

Il fatto è che l’etica personale del medico va correlata alla sua etica professionale, cioè al sapere che dovrebbe guidarne l’opera e a quanto la società si aspetta da lui7. Tra le due etiche va dunque istituito un profilo di priorità: chi vuol fare il medico dovrebbe essere consapevole che, in caso di conflitto tra una personale visione morale e l’etica in cui la sua professione si riconosce (sostanzialmente ancorata alla scienza), sarebbe giusto che anteponesse quest’ultima alla prima. Precondizione di chi s’appresta a fare il medico è la disponibilità ad abbracciare un “ethos” oggettivo – fissato da linee-guida provate – più che istanze soggettive.

Quanto al rapporto gerarchico fra le convinzioni morali del medico e della persona malata, si dovrebbero privilegiare i valori e il bene di quest’ultima. Di fronte a etiche confliggenti spetterebbe insomma al medico fare un passo indietro, sacrificando una convinzione personale per dare risalto all’autonomia della persona malata e rinunciare a parte della propria: dopotutto, non è lui che sta male8.

La soluzione che l’ordinamento ha predisposto è porre limiti precisi all’opzione obiettoria, oggi ristretta alle 3 leggi vigenti. Tuttavia nemmeno questa soluzione appare priva di problematicità, come si evince prendendo a modello alcune conseguenze della sua inclusione nella legge sull’ IVG.

 

 

 4.  Una situazione emblematica.

L’art. 9 della legge 194/1978 concede l’Odc a chi è messo in condizione di prendere parte attiva in un aborto volontario, ma subordinandola a tre clausole: 1, l’obiettore deve dichiarare prima la scelta; 2, l’obiezione dev’essere generale, cioè non può riguardare casi a sua discrezione; 3, l’obiezione è riferita solo alle azioni che in modo diretto, certo e specifico provochino l’aborto volontario (sono escluse le azioni diagnostiche e assistenziali che precedono e seguono l’aborto).

L’obiettore, comunque, deve eseguire un aborto se vi è imminente pericolo di vita per la donna e l’intervento la può salvare. All’obiettore, inoltre, il diritto all’Odc decade subito e per sempre se esegue un aborto o vi partecipa in modo attivo (tranne nell’ipotesi precedente). Infine, la 194 esclude la cosiddetta “obiezione di struttura”: le strutture pubbliche e private autorizzate a praticare l’IVG sono tenute a garantirne l’espletamento, quindi non è ammesso il 100% di obiettori.

La clausola obiettoria inclusa nella 194 aveva un comprensibile significato nel 1978, quando gli operatori sanitari si trovarono improvvisamente a fare i conti con un’opportunità senza precedenti e per la quale potevano esprimere dissenso. Ma da allora la legge è stata ben conosciuta, mentre la sua corretta applicazione è stata messa in difficoltà proprio dalla percentuale elevata di coscienze obiettanti, così che la sua finalità più delicata – garantire il diritto di abortire legalmente – è stata più o meno seriamente compromessa. Senza contare che dove l’IVG è in sofferenza per eccesso di obiettori, la donna non solo se la vede negata, ma è anche costretta a cercare altrove, spesso nell’indifferenza del personale sanitario, talora con la sua riprovazione. Così la 194 ha tutelato la coscienza di tutti gli obiettori, ma umiliando quella di un certo numero di donne e la loro autodeterminazione.

La fragilità dell’impianto legislativo sta in tre elementi:

1°, manca l’indicazione sul da farsi se il numero di obiettori supera la quota critica che ne vanifica gli obiettivi;

2°, manca l’indicazione sul da farsi se il numero di obiettori di un ospedale pubblico autorizzato viene a corrispondere al numero di specialisti disponibili, configurando l’obiezione di struttura;

3°, manca una clausola sulla prestazione risarcitoria.

L’assenza di quest’ultimo requisito ha rilevanza perché favorisce un ricorso disinvolto all’Odc. In quanto priva di compensazione, l’Odc può dare certi privilegi e alimentare le forme di comodo, moralmente discutibili. Ad esempio, l’obiettore può dedicarsi solo alle attività istituzionali e libero-professionali (con ricadute positive anche in termini di clientela fidelizzata), laddove i non obiettori debbono rinunciarvi in una parte più o meno cospicua in funzione della percentuale di obiettori, dei quali debbono sobbarcarsi l’onere prestazionale rifiutato. Senza contare che l’IVG resta anche per un non obiettore un intervento stressante per l’elevata partecipazione emotiva che implica; e che in alcuni istituti ove il Direttore obietta, anche i suoi collaboratori possono essere invogliati a imitarlo, per opportunismo o per non rischiare emarginazioni di carriera.

 

 

 5.  Paradossi e anomalie dell’obiezione di coscienza in medicina.

L’ipotesi dell’Odc in ambiti eticamente sensibili può condurre a derive inquietanti e menomare diritti altrui protetti dalla legge. Di seguito se ne propongono otto.

1°. Un argomento logico-filosofico avanzato dai medici per esercitare l’Odc è il relativismo etico a tutela dell’integrità morale di tutti: tu mi permetti di obiettare in nome della mia coscienza e io ricambio garantendoti lo stesso diritto. In realtà, essendo la maggioranza degli obiettori di confessione cattolica, è proprio il relativismo che essi condannano, in quanto minaccia alla visione della vita moralmente buona indicata dalla Chiesa. È quindi curioso che un cattolico coerente tolleri una legge, come la 194, che si oppone frontalmente a quella del Dio che venerano. Insomma, chi invoca il relativismo etico per giustificare l’Odc avanza un principio che, in punta di logica, può essere impugnato per negare la legittimità morale dell’Odc.

2°. Chiedere l’Odc per alcune prassi mediche – invocando l’integrità morale – ne rende possibile l’estensione arbitraria ad altre, sostenute da coscienze obiettanti, fino all’estremo di rifiutare qualsiasi prestazione sanitaria in nome di convincimenti così personali e radicati da essere inconciliabili con la prestazione richiesta: ad esempio il rifiuto di visitare pazienti di genere, religione o etnia diverse da quelle del medico9, di sottoporre minori a vaccinazione obbligatoria, di prescrivere un contraccettivo orale o di non trasfondere un testimone di Geova imponendogli una trasfusione forzata.

3°. Chi rivendica l’Odc dice di farlo per tutelare la libertà di coscienza, protetta dalla Costituzione10. Ma privilegiare per legge una convinzione morale rispetto ad altre apre a uno stato etico. L’obiettore dovrebbe dunque limitarsi a preservare il valore in cui crede, ma con l’accortezza di non impedire la fruizione di diritti tutelati dalla legge che contesta. Senza questo limite, l’obiettore imporrebbe una visione assolutista della vita moralmente buona, potendo affermare che la sua coscienza obbedisce non a norme prodotte dagli uomini, ma – come Antigone11 – a norme derivate da un ordine naturale o da una fonte divina, entrambe personalissime e prive di evidenze.

4°. Un medico, se vuole obiettare, deve farlo a patto che l’obiezione non comprometta la salute del suo assistito o il benessere di altri. Ma questo principio generale rischia, nel caso dell’aborto, di essere disatteso su almeno due fronti:

– la donna che si vede negata la prestazione abortiva potrebbe essere esposta a una sofferenza psichica dal medico obiettore a causa dello stigma e del senso di colpa causati dal rifiuto di un gesto di cui quel medico denuncia esplicitamente l’immoralità12;

– per il medico obiettore, delegare a un collega un atto che detesta non dovrebbe ridurre il suo disagio psichico, essendo conscio che la legge divina che gli proibisce l’atto viene offesa e, con quella, il fondamento morale della sua convinzione13.

5°. L’Odc potrebbe nascondere uno scopo diverso da quello dichiarato: non il dar voce a convinzioni morali profonde, ma il rendere inattuabile una legge, sostituendo il fondamento laico dei valori a esso sottintesi (nel caso dell’IVG, il diritto della donna di decidere in modo autonomo) con uno eteronomo o teocratico. In quest’ottica, l’OdC adombra sospetti sul fatto che l’appellarvisi celi la volontà dogmatica di schiacciare la concezione morale altrui sotto la propria; e che il suo esercizio si presti a stratagemmi di manipolazione fondati più sulla salvaguardia di interessi personali che sulla difesa di una purezza interiore. Senza contare l’ipotesi di un’obiezione di comodo, sfruttata surrettiziamente per procacciarsi vantaggi a costo zero.

6°. Immaginiamo cosa accadrebbe in caso di obiezione di massa. Se tutti gli interessati a sottrarsi a una legge in nome della coscienza decidessero di avvalersene, pagandone anche il prezzo dovuto, bisognerebbe chiedersi se l’obiettore vuole davvero presidiare il territorio ove custodisce la propria coscienza dagli attacchi di altre coscienze (forse considerate “figlie di un dio minore”) o, piuttosto, se non sta complottando per disarmare un impianto legislativo di cui non riesce ad accettare i contenuti, per una loro presunta immoralità.

7°. Un altro spunto critico emerge dalla domanda: cos’è esattamente la coscienza? “Libertà di coscienza” è termine ampio, sarebbe quindi giusto restringerne il significato quando lo si usa. “Coscienza” rinvia a molteplici facoltà: consapevolezza, libero arbitrio, empatia, capacità di astrarre, costruire valori, immedesimarsi, meditare, superare l’immanenza, avventurarsi nel trascendente… Richiamarsi a una sfera così multiforme, malleabile e privata rischia di rendere chi vi si appella immune dall’obbligo di dare a quell’appello motivazioni mirate, comprensibili e pubbliche. Pertanto, chi si richiama all’Odc dovrebbe indicare a quale di quelle attitudini fa riferimento, per capire se il suo rifiuto di sottostare a una legge è pertinente e coerente. Oltretutto, oggi le scienze neurobiologiche sono sostanzialmente concordi nell’ammettere che la coscienza è elaborata dal macchinario cerebrale, ma che nessuno è in grado di spiegare come la emerge da quel macchinario e come genera volontà e comportamenti traducendoli da circuiti, processi elettrochimici e sinapsi14: motivare una scelta morale appellandosi a un’entità di cui ben poco si conosce sembra dunque una fallacia etica, oltre che epistemologica.

8°. Infine, l’appello alla coscienza espone al cappio delle intenzioni: con quale scopo quel politico fa beneficenza, per alleviare i disagi d’una persona o per guadagnare consensi? Perché quel medico somministra morfina, per togliere il dolore o per concludere intenzionalmente la vita del paziente e non farlo più soffrire? Dal momento che i contenuti di coscienza sono facilmente dissimulabili e nessuno, al di fuori del suo depositario, può conoscerne i reali intendimenti, accettare come veritiere affermazioni “secondo coscienza” non verificabili né smentibili assegnerebbe una libertà illimitata a chiunque ne volesse disporre. Ammoniva Pascal: Mai non si fa il male così pienamente e allegramente come quando lo si fa per coscienza15.

 6.  Quali soluzioni?

Il ricorso all’Odc apre conflitti fra diverse concezioni della vita moralmente buona e – in ambito sanitario – fra ruoli professionali e persone malate. Ma una soluzione va trovata, fermo restando l’assunto che fra il diritto alla salute e il diritto all’Odc, il primo dovrebbe prevalere.

Una via semplice sarebbe garantire con certezza che per ogni obiettore sia disponibile almeno un non obiettore. Ma nel caso dell’IVG questa certezza potrebbe essere vanificata da un numero eccessivo di obiettori. Inoltre, il rifiutare la richiesta di Odc, ove già molti sono obiettori, per evitare la forma di struttura, discriminerebbe chi la vuole da chi già ne dispone e verrebbe interpretato come un sopruso del diritto alla libertà di coscienza.

Una seconda strada sarebbe disincentivare l’appello all’Odc prospettando una formula compensatoria da parte dell’obiettore. Un “prezzo da pagare” – da includere nella legge – per prevenire le obiezioni di comodo. Ma potrebbe non bastare.

Ci sarebbe un’ultima possibilità: dissuadere gli aspiranti medici a iscriversi al corso di laurea. Questa possibilità si richiama al parallelo fra pacifisti che aborrono la guerra e obiettori cui ripugnano le pratiche abortive. Un soldato professionista sa che potrebbe uccidere persone (è addestrato a farlo), ma non può invocare un’Odc. E la legge prevede che tra i compiti del medico ci sia anche l’esecuzione di un aborto: dunque chi in coscienza è contrario può avviarsi ad altre professioni. E se un militare può rifiutare azioni riservate a corpi speciali, così il medico può evitare specializzazioni come Ginecologia e Anestesia (chi non ama la vista del sangue e i taglienti evita di fare il chirurgo). Si tratterebbe insomma di giocare d’anticipo sulla selezione del personale sanitario, accettando senza scandalo l’idea di destinare l’accesso a certe professioni solo a chi sa di poter tutelare i diritti delle persone malate, per di più evitando che alcuni debbano patire la sgradevole impressione di dover abdicare alla propria integrità morale.

 

 7.  In sintesi.

Una democrazia tutela il diritto di rifiutare azioni ritenute abominevoli. Ma perplessità si sollevano se si protegge chi rifiuta leggi votate democraticamente e finisce per usurparle invocando valori morali personali pretendendo che siano assoluti. La giurisprudenza è incompatibile con i dogmi, quindi dovrebbe anche esserlo con chi si appella a convincimenti derivati da imperativi assolutistici o da verità trascendenti. Né la medicina può coltivare buone relazioni con i dogmi senza alimentare forme nocive di paternalismo ideologico. Di fronte al dolore, quindi, il medico dovrebbe mettere fra parentesi credenze, pregiudizi, convinzioni e “voci”. E condividere quel dolore, fino a sedarlo, anche quando il farlo può sollevare una crisi di coscienza: se si riconosce questo principio, allora buon medico non è chi obietta, ma chi sta vicino alla persona malata e ne rispetta il diritto di scelte autonome, anche quando sono tragiche o moralmente scabrose. Chi, al contrario, obietta dove le carenze strutturali aprono una falla nel sistema, dimentica che agire in conformità a convincimenti di coscienza significa avocare per sé un’integrità morale che non è disposto a concedere ad altri, come se solo lui, obiettore, avesse una coscienza.

Forse è giunto il tempo di togliere dal lessico dei medici e dei loro codici etici la formula “secondo scienza e coscienza” – per dirimere i conflitti –, privilegiando il richiamo alla scienza e alle linee-guida “evidence-based” che essa fornisce16. Non è una proposta semplice, perché si scontra con secoli di tradizione e può essere temuta come fonte d’indebolimento per l’autonomia professionale del medico. Ma può essere un buon modo per trasferire il dibattito dal piano soggettivo-conflittuale delle intenzioni a quello assertivo-costruttivo delle analisi scientifico-razionali.

 

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Note.

1. Nella filosofia contemporanea il termine coscienza indica una relazione della persona con sé stessa, annodata attraverso un dialogo così intimo e “interiore” da garantirle la possibilità di conoscersi in modo immediato e di formulare giudizi morali sicuri.

2. Codice di Deontologia Medica, art. 22. “Il medico può rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici, a meno che il rifiuto non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona…”.  Ci sarebbe da sottolineare che con questo articolo viene purtroppo assegnata al medico un’ampia discrezionalità proprio mediante l’appello alla coscienza, aprendo la strada a singolari rifiuti di prestazione d’opera, ad esempio da parte di un medico maschio di visitare una paziente donna sulla base di inamovibili convincimenti religiosi (v. anche nota 7).

3. “Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.” (art. 9, titolo I).

4.Chi rivendica il diritto di anteporre un obbligo morale personale a un obbligo previsto per legge paga un prezzo. Una democrazia tutela l’Odc, ma per evitare privilegi o obiezioni astute prevede per l’obiettore prestazioni alternative disincentivanti (ma non sproporzionate, vendicative o ricattatorie).“Coscienza senza conseguenze” è, nel merito, l’appropriata formula usata da Ellen Goodman in un editoriale del Washington Post del 9 aprile 2005, dal titolo Dispensing Morality.

5.Diversamente dall’Odc – che è condottaomissiva (non si fa ciò che è previsto dalla legge), individuale (è compiuta da un soggetto isolato), pubblica (è annunciata prima della sua messa in atto) e passiva (chi la esercita ne accetta le conseguenze) – la  disobbedienza civile è commissiva (si fa ciò che è vietato dalla legge), collettiva (è compiuta da più individui che condividono lo stesso ideale), clandestina (è preparata in segreto) e attiva (chi la esercita tenta di sottrarsi alle conseguenze).

6. Articoli 43, 44 e 50 relativi alle leggi su IVG, PMA e sperimentazione animale.

7. SAVULESCU J.Conscientious objection in medicineBr Med J 332, 294-97, 2006.

8. Il nodo della questione non è il diritto di avere credenze, ma la possibilità che una credenza diventi norma che schiaccia una diversa credenza. Già dal 1987 la Conferenza Internazionale degli Ordini dei Medici sottolineava il principio secondo cui “…il medico non può sovrapporre la sua concezione di vita a quella del paziente”, concetto ribadito dalla Carta Europea di Etica medica, al Principio 2: “Il medico si impegna a dare priorità agli interessi di salute del paziente” e al 9: “La pratica della medicina comporta il rispetto della vita, dell’autonomia morale e della scelta del paziente”. A ciò si può aggiungere la riflessione del presidente della sezione Tar di Catanzaro, Nicola Durante che, dopo aver precisato che l’Odc non rientra, per la giurisprudenza, fra i diritti naturali, conclude che: “… l’enfatizzazione della coscienza medica finirebbe per sacrificare la libertà di autodeterminazione del paziente, la cui concreta attuazione verrebbe rimessa alla mercé delle ragioni, pur moralmente elevate, del medico, con una regressione a quel paternalismo medico e a quel «dovere di cura» che, invece, la Suprema Corte, nell’attuazione dei princìpi costituzionali, ha inteso superare con la sentenza del 16.10.2007, n. 21748” (https://www.giustizia-amministrativa.it/documents/20142/375087/Obiezione-di-coscienza).

9. STRIKLAND S.Conscientious objection in medical students: a questionnaire surveyJ Med Ethics 38, 22-25, 2012.

10.La Costituzione italiana non contempla la parola “coscienza”. La sua libertà viene implicitamente derivata da un’interpretazione estensiva dell’art. 19.

11.Sofocle, raccontando la storia di Antigone, illustra l’eterno conflitto fra autorità e potere con la disputa tra leggi divine e leggi umane: le prime difese da Antigone – che in loro nome preferisce la morte –, le seconde difese dal tiranno Creonte, da lui poste al di sopra di ogni cosa.

12.GIUBILINI S.The paradox of conscientious objection and the anemic concept of ‘conscience’: downplaying the role of moral integrity in health care Kennedy Inst Ethics J 24, 159-185, 2014.

13. Mc LEOD C.Referral in the wake of conscientious objection to abortionJ Fem Phil 23, 30-47, 2008.

14. BENINI A.Neurobiologia della volontàRaffaello Cortina Milano, 2022.

15. PASCAL B.PensieriEinaudi, Torino, 1967 (pensiero 908).

16. La filosofia contemporanea – con l’impulso e il supporto delle neuroscienze – ha decretato il progressivo declino della nozione di “coscienza”, manifestando diffidenza per quelle certezze considerate infallibili semplicemente perché fondate sulla coscienza e che, invece, si presentano come esperienze soggettive e incomunicabili. In sostanza, “coscienza” è un concetto così confuso da non poter essere considerato una verità scientifica. Per un approccio generale della questione v. Sébastien Maillé and Michael LynnReconciling Current Theories of ConsciousnessJ Neuroscience 40, (10,) 1994-1996, 2020.

 

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Note legali

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